Come si fa ad essere felici? È una domanda che l’uomo si pone da sempre, ma forse, per rispondere, bisogna fare un passo indietro…
Secondo una ricerca dell’OMS, nel 2030 la depressione sarà la malattia più diffusa al mondo. Le cause sono molteplici ma non ci vuole un esperto per capire qual è la principale: basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanto siamo soli, pur essendo tantissimi e avendo a disposizione tutto ciò che i nostri nonni non osavano nemmeno sognare.
Io sono fortemente convinto che sia proprio la solitudine e il conseguente senso di isolamento a rendere infelici le persone. Eppure solitudine e isolamento vengono alimentate quotidianamente da queste nostre società moderne dove l’Io è al centro di tutto. Essere felici è diventata una questione di ego.
Una società ego-centrica, una società infelice
È colpa della società in cui viviamo, dove tutto sembra portare sempre e solo nella direzione di noi stessi. Così ci convinciamo che la felicità sia una questione personale e privata, che non ha nulla a che vedere con gli altri.
La grande macchina del marketing fa il resto: ogni pubblicità, di ogni tipo, ti vuol fare credere che non hai bisogno degli altri, ti bastano i soldi per comprare il nuovo oggetto in questione. Quindi lavora più che puoi, hai bisogno di soldi per essere felice. Nient’altro.
Ma la felicità può davvero essere egoistica? Io credo di no. Anzi, sono convinto che molta dell’infelicità così diffusa al giorno d’oggi derivi proprio dall’occuparsi sempre e solo di se stessi.
La felicità è come una fiamma: solo noi possiamo accenderla, ma solo gli altri possiamo aiutarci a tenerla viva e a farla divampare
Dal mio libro, “Le coordinate della felicità”
Nel tempo, viaggiando e vivendo a stretto contatto con culture molto diverse da quella in cui sono cresciuto, ho capito che esiste una forma di felicità bellissima che non riguarda il ricevere ma il dare: la felicità del prendersi cura di qualcuno o di qualcosa.
La splendida idea di felicità del monaco buddhista giapponese
Il monaco buddhista giapponese (ma è anche un designer di giardini) Shunmyo Masuno ha descritto meravigliosamente questa tipologia di felicità:
Coltivi la terra e pianti i semi. Ti preoccupi quando non piove e ti inquieti quando piove troppo. Non si tratta del semplice atto di coltivare piante, ma di assaporare il tempo e lo sforzo che investi in questa occupazione. Quando la cosa che stai coltivando inizia a crescere, provi una felicità sconfinata. E anche un grande sollievo. Per quanto affetto tu investa, l’oggetto del tuo affetto ti restituirà energia in egual misura
Personalmente credo che siano parole quanto mai vere. C’è una bellissima forma di felicità che ricevi dopo aver donato il tuo tempo, le tue energie e le tue attenzioni a qualcuno o a qualcosa. La felicità che ti inebria quando finalmente riesci a raggiungere l’obiettivo che ti eri prefissato, quello che non fa del bene a te stesso ma all’oggetto delle tue cure, è immensa.
Anche questa è una lezione che ho imparato in viaggio, ma, come spesso accade, ho poi portato con me anche nella quotidianità. Per la precisione, l’ho imparata a Bali, prendendomi cura di un cane randagio.
Come essere felici prendendosi cura di un cane randagio
Per alcuni mesi all’anno vivo a Ubud, sull’isola di Bali. È un luogo meraviglioso, fatto di risaie verdissime, tramonti mozzafiato e i sorrisi più belli che abbia mai visto. Ma non è tutto rosa e fiori: andando più in profondità, ci si rende conto che è un luogo con equilibri molto delicati e problematiche che spesso il turismo non fa altro che peggiorare.
Uno dei problemi più grandi non solo di Ubud ma anche di Bali è quello dei cani randagi: ce ne sono tantissimi e molti sono in pessime condizioni. Un paio di anni fa, per provare a dare il nostro contributo a un luogo che ci ha fatto sentire a casa fin da subito, io e la mia ragazza ci siamo iscritti a un’associazione di volontariato che si occupa proprio dei cani randagi.
All’inizio ho preso questa esperienza come una sorta di “ringraziamento dovuto” a Ubud. Era quasi come se fosse un lavoro: sarei andato a occuparmi di cani randagi perché quel posto mi aveva dato tantissimo e mi sentivo riconoscente. Volevo dare il mio contributo. Non avevo idea del fatto che così avrei risposto alla domanda: come essere felici?
L’episodio che ha ispirato “Come una notte a Bali”
Io e la mia ragazza iniziammo ad andare ogni giorno al canile dell’associazione, con l’intenzione di passarci due ore. Il secondo giorno ci fu assegnato un cane che i volontari avevano chiamato “Blu” per i suoi occhi blu. Il cane era giovane e messo molto male: era stato operato a entrambe le zampe e non riusciva a stare in piedi. Aveva bisogno di una riabilitazione importante, qualcuno che lo sostenesse e lo costringesse a tornare a camminare.
Per quasi un mese, io e la mia ragazza gli stiamo dietro. Ci siamo presi cura di lui con tutte le nostre energie, spesso fermandoci ben oltre le due ore prestabilite. Occupava i nostri pensieri anche quando non eravamo al canile: ci chiedevamo se ce l’avrebbe mai fatta a tornare a camminare, se stesse migliorando e cosa fosse necessario per farlo ristabilire.
Alla fine, Blu è tornato a camminare. E la felicità che abbiamo provato quando l’abbiamo visto zampettare incerto nel prato del canile, scodinzolante ed emozionato, è stata infinita. Ero così felice che è stato proprio quello il momento in cui ho deciso di scrivere “Come una notte a Bali“, un romanzo dove racconto una storia molto simile a questa. Una storia di amore e felicità, quella vera, quella condivisa.
La felicità? Prendersi cura di qualcuno o di qualcosa
Come essere felici, dunque? Da quell’esperienza ho capito che prenderti cura di qualcuno o di qualcosa ti regala una forma di felicità pura e inimitabile. Ed è una lezione che, come detto, porto con me ovunque io sia.
Ho scoperto, ad esempio, che è bello prendersi cura delle proprie cose. Ancora più importante è prendersi cura di una relazione, che sia d’amore o di amicizia o di tipo famigliare. Vederla fiorire grazie al tempo che le si dedica è una soddisfazione impagabile.
Le persone che amiamo danno un senso alla vita e danno un senso anche a noi stessi.
Non è un caso che prendersi cura degli altri sia anche uno dei rimedi più efficaci contro l’ansia e la depressione: quando ti concentri su qualcun altro, smetti di pensare ossessivamente a te stesso e ai tuoi presunti problemi. Ti concentri su altro e ti immergi nel momento presente. Così, l’ansia sparisce e tu puoi tornare a sorridere.
Ti fa sentire leggero e al tempo stesso ti offre uno scopo, un motivo per svegliarti ogni mattina pieno di voglia di vivere. Perché altrimenti, se ci limitiamo a vivere per lavorare, pagare bollette e arrivare a cena stravolti, che senso ha la nostra vita? Il senso è nelle piccole cose di cui prenderci cura, che poi alla fine sono le cose più importanti (e spesso non sono cose, ma persone e relazioni).
Se vuoi provare una forma certa di felicità, impara a prenderti cura di qualcosa o di qualcuno. Basta anche una piantina da annaffiare ogni sera, una gentilezza, una telefonata, un “grazie”. Ti farà stare bene e ti mostrerà che la felicità non è una questione di puro egoismo, ma una sensazione che nasce tanto dal dare quanto dal ricevere.