La società occidentale è fortemente basata sul capitalismo e il capitalismo ha reso tutto è possibile. Ma non solo: ha anche reso tutto lecito. “Il fine giustifica i mezzi” è il motto di milioni di persone, che lo vogliano ammettere oppure no. Non importa come, l’importante è vincere.
Ecco perché la nostra società si basa fortemente sulla competitività. Siamo in competizione da sempre, fin da quando eravamo così piccoli da non capire ancora il mondo degli adulti. Ma gli adulti, proprio loro, ci spingevano già a essere i migliori. I più belli, i più forti a pallone, i più popolari, i più bravi nei compiti in classe.
A scuola nessuno ti insegna il valore immenso dell’empatia e della condivisione, né tanto meno trovi mai qualche professore che ti inciti semplicemente ad essere felice. È tutta una questione di scadenze, voti e responsabilità. È tutta una questione di graduatorie, classifiche, di chi è primo e chi è ultimo. Chi è il secchione e chi l’asino.
Sul lavoro il fattore competitività diventa ancora più totalizzante: non sei una persona, sei il numero sul tuo badge. Un computer determina la qualità del tuo lavoro e i risultati che ottieni definiscono il tuo valore meglio di qualsiasi caratteristica umana tu possa avere.
È il tuo capo a decidere se vali qualcosa o sei solo un nullafacente che ruba lo stipendio.
Nella vita privata il discorso non cambia: nella tua cerchia di amici e conoscenti vuoi essere il primo a comprare casa, il primo a sposarsi, il primo a metter su famiglia, il primo a comprare il SUV, il primo a comprare la seconda casa, al mare o in montagna. Cerchi di essere quello con la famiglia più bella, non perché ti interessi ma perché interessa agli altri.
Tramandare la schiavitù della competitività
E quando raggiungi una certa età, trasmetti la competitività sui tuoi figli. Poi sui tuoi nipoti. Li educhi a essere i migliori e a considerare il secondo classificato come il primo dei perdenti. Li spingi a far propri gli obiettivi che tu non hai raggiunto. Proietti su di loro i tuoi fallimenti, vuoi vederli riuscire dove tu non sei riuscito.
Poi, quando ti ritrovi a un passo dalla fine, ti rendi conto che è stato tutto inutile. Realizzi di aver corso sulla ruota del criceto per 50 anni solo per assecondare le aspettative della società, quelle per cui contano solo i freddi numeri, le classifiche e bilanci.
Capisci con amarezza di essere caduto nella grande trappola della competitività: hai fatto tutto velocemente per cercare di vincere e sovrastare gli altri e così non ti sei goduto il viaggio. Non ti sei mai fermato a guardare fuori dal finestrino.
Hai viaggiato solo ed esclusivamente in funzione della destinazione e ora che ci sei arrivato e puoi finalmente dire di aver vinto, ti rendi conto che non è così soddisfacente stare sul gradino più alto del podio. Solo e vecchio.
Ma se stai leggendo questo articolo, probabilmente non sei ancora arrivato a quel punto. E allora mi permetto di darti un consiglio: non cascare nella trappola della competitività a tutti i costi.
Visualizza questo post su Instagram
Con le persone puoi vivere, non devi per forza competere
Un ragazzo canadese che avevo incontrato nella comune pochi giorni prima mi aveva detto che secondo lui la rovina dell’uomo occidentale è da collegare direttamente alle ambizioni. Non riusciamo a controllarle, non sappiamo mai accontentarci e alla fine perdiamo tutto nel tentativo di puntare sempre più altro.
Dal mio libro “Le coordinate della felicità“
È sacrosanto avere ambizioni, perché le ambizioni ci tengono vivi. Ma c’è un mondo enorme e meraviglioso oltre ai report aziendali, oltre ai bilanci di fine anno, oltre alle classifiche, oltre al numero di like e followers, oltre all’entità della tua busta paga, oltre al numero di oggetti che possiedi.
C’è un mondo fatto di persone vere con le quali parlare, ridere, fare l’amore, viaggiare, guardarsi negli occhi, condividere sogni e buon cibo, ammettere i propri fallimenti, litigare, fare pace e guardare il tramonto abbracciati.
Persone con le quali vivere, non competere. Persone con le quali essere se stessi senza nascondersi dietro all’armatura di quello che non deve chiedere niente a nessuno perché è il migliore di tutti.
Questa società in cui viviamo proverà sempre a convincerti ad essere un’isola, ti spingerà a difenderne i confini e a prenderti cura ogni giorno del tuo ego. Perché una società composta da persone schiave dell’ego e della competitività è una società in cui l’economia gira alla grande: solo e isolato, finirai per spendere i soldi che hai guadagnato lavorando più di chiunque altro in oggetti che non ti servono ma acquisti sperando che possano colmare il vuoto che hai dentro.
Il problema è che quel vuoto non lo riempiono le cose. Lo riempiono le esperienze, i viaggi, le persone, i libri, le chiacchierate infinite, i ricordi meravigliosi.
Le persone rendono memorabile il tuo percorso su questa terra, e chi viaggia lo sa bene. Più di un luogo specifico, è l’incontro a rendere indimenticabile un viaggio. Più dei numeri, più dei trofei, più delle cose che puoi accumulare, più delle apparenze perfette, sono le esperienze condivise a dare un senso a tutto quanto.
La vita non è una gara, né con te stesso, né con gli altri. È un viaggio il cui obiettivo non è di arrivare in fretta a destinazione, ma di godersi il tragitto.