Credo che sia capitato a chiunque abbia viaggiato un po’ nella vita di ritrovarsi a un certo punto a riflettere sulla possibilità di fermarsi. Non per sempre, ovviamente, né tanto meno smettere di viaggiare. Il “fermarsi” si riferisce a qualcosa di molto più semplice, eppure spesso così complesso da realizzare: trovare un posto dove costruirsi un nido, una “casa” intesa non come edificio ma come quell’insieme di sensazioni che provi quando ti senti al sicuro.
Questo discorso non ha nulla a che vedere con le ambizioni tipiche dell’uomo medio nella società occidentale. Non riguarda la possibilità di acquistare una casa indebitandosi a vita con il mutuo, né riguarda l’odiosa tendenza di credere che il valore di una persona sia determinato dal numero di oggetti che possiede e da quanto gli sono costati.
Il desiderio di fermarsi che ogni tanto attacca al cuore di noi viaggiatori non è così superficiale. È qualcosa che risulta molto difficile da identificare. Ecco perché gli altri non ci capiscono: abituati a incasellare tutto in certe categorie e a etichettare ogni singolo comportamento, non possono comprendere come un viaggiatore possa volersi fermare.
Ne parlo anche nel mio libro “Le coordinate della felicità“:
Era un bel discorso, che mi toccò nel profondo. Da una vita intera stavo cercando la mia felicità, ma più probabilmente stavo anche scappando da qualcosa. Avrei mai trovato una vita stabile come la sua? Avrei mai avuto la serenità di chi sa di essere nel posto giusto? Non ne avevo idea e questa circostanza mi angosciava un po’. Al tempo stesso, però, ero certo di non voler smettere con la mia vita nomade: avevo appena assaggiato un po’ di quell’esistenza ed ero ben lontano dall’esserne sazio. Ma l’idea di fermarmi, un domani, e costruire qualcosa di simile a quella guesthouse, magari un ritrovo per viaggiatori da tutto il mondo, mi emozionava. Era un futuro molto lontano, ma forse un giorno mi sarei stufato di esplorare fisicamente e mi sarei fermato per ospitare o servire cibo ad altri nomadi, continuando a viaggiare pur restando fermo.
Tratto da “Le coordinate della felicità“
L’idea di felicità di Lev Tolstoj ripresa in Into the Wild
Questo desiderio di fermarsi tocca le corde dell’anima di molti viaggiatori, ma non solo. Personalmente credo che chiunque abbia vissuto in maniera molto intensa, sia in termini di esperienze sia in termini emotivi, si ritrovi a desiderare di costruire qualcosa di proprio, lontano dal rumore della vita che accomuna la maggior parte delle persone.
Proprio perché chi ha viaggiato o ha vissuto con tanta voglia di vivere sa che difficilmente troverà la felicità in un contesto considerato “normale” ma spesso, in realtà, costruito su premesse prive di alcuna felicità e basate su un forte ego-centrismo. Chi appartiene alla schiera dei viaggiatori, dei sognatori e dei romantici, sa che la felicità è anche e soprattutto una questione di amore. È poesia, prima di essere qualcosa di concreto.
È un impulso che appartiene a molti e che personalmente ho ritrovato in una splendida considerazione di Lev Tolstoj che viene citata nel film “Into the Wild“. Si tratta di una delle scene finali, quando Christopher McCandless si rende conto che la felicità è reale solo quando è condivisa e che puoi andare in capo al mondo ma alla fine avrai sempre quel desiderio di fermarti e costruire qualcosa che resti.
Credo che in queste parole si ritroveranno, per assurdo, molti viaggiatori. Forse perché il motivo per cui partiamo è vedere il mondo, ma anche scoprire cosa ci rende felici.
Partire e viaggiare è il modo migliore per riuscirci, perché così possiamo osservare il mondo, le persone e la vita in tutte le loro sfumature. Attraverso questa ricerca, possiamo finalmente capire quali sono le coordinate della nostra felicità.
Quelle di Lev Tolstoj sono comuni a molti sognatori. Non a caso, la sua riflessione sulla felicità stata ripresa anche nel film Into the Wild:
“Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile con le persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?”