Se c’è una cosa molto comune in Occidente che proprio non riesco ad accettare è l’atteggiamento che moltissime persone hanno nei confronti di chi sorride ed è pieno di positività.
Tante volte sono rimasto sconcertato di fronte a comportamenti di totale ostilità verso chi non si vergognava di mostrare un timido sorriso sul posto di lavoro. Una volta assistetti persino a uno scambio di battute tra una cameriera e il suo datore di lavoro. La ragazza sorrideva e lui le chiese bruscamente: “Cos’hai da ridere? Sei al lavoro“.
Poche parole che spensero il sorriso sul volto di quella ragazza e contemporaneamente misero di malumore anche me. D’altronde, la negatività è come un virus… ma la buona notizia è che lo è anche la positività.
Viaggiando è più facile trovarne e non è certamente una sorpresa: la gente in vacanza è spensierata, abbronzata e lontana dai problemi della quotidianità. Non è un’anomalia vedere più sorrisi quando visiti una zona molto turistica, semmai è la regola. Eppure, un giorno, a Bali, ho visto un sorriso diverso da quello tipicamente meravigliato dei turisti.
Il sorriso di un uomo che, senza saperlo, mi ha aiutato a prendere la vita più serenamente.
“Ho scelto di essere come un cane”
Eravamo in un ristorante, di quelli che trovi ovunque a Ubud. Quelli dove i tavolini sono bassi, il menù è vegetariano e la gente è seduta su cuscini per terra. C’è sempre qualcuno con cui parlare, se lo vuoi, così come c’è sempre qualcuno che suona una chitarra. Ti guardi intorno e vedi persone che si abbracciano e sorridono.
Quel sorriso, però era diverso. Era sul volto di un uomo sui cinquant’anni. La testa completamente rasata, occhi scuri e profondi e un sorriso beato, quello di chi ha capito tutto della vita. Era seduto davanti a me e quando i nostri sguardi si incrociarono, lo salutai. Un’abitudine poco comune in Italia, che invece a quelle latitudini è la norma (come scrivo nel mio libro “Le coordinate della felicità“, io l’avevo fatta mia in Australia).
Poco dopo stavamo parlando, avevo scoperto che era canadese. Gli dissi di aver vissuto a Vancouver ma di essermi trasferito a Bali. Mi chiese perché mi piacesse così tanto quell’isola e io risposi onestamente: “I sorrisi della gente!” Lui allargò il suo e mi disse qualcosa di inaspettato: “Ho iniziato a sorridere dopo aver capito che la vita è un dono“.
Poi ha continuato: “Quattro anni fa ho scoperto di avere un tumore. Notti insonni, mille pensieri sul futuro, ricerche ossessive su internet. Quando ti trovi davanti alla morte, perdi la testa e inizi a chiederti se non hai sprecato la tua vita. Poi l’operazione, la chemioterapia e i risultati positivi dei vari test. Sono guarito, nessuna traccia di cellule tumorali da due anni ormai”.
Istintivamente gli dissi: “Immagino che felicità guarire da un tumore“. E lui mi sorprese con questa risposta:
“La felicità non l’ho raggiunta guarendo dal tumore. Perché dopo non facevo altro che chiedermi se sarebbe tornato, quanti anni avessi davanti a me, quanti anni avessi sprecato. La felicità l’ho trovata quando ho capito che tutto questo era completamente inutile“.
“Inutile?” chiesi io.
“Certo. È tutto inutile! Sai qual è la rovina dell’uomo? È pensare troppo. Perché quando lo facciamo, invece di vivere la vita, non facciamo altro che torturarci. Sai perché i cani sono sempre felici e scodinzolanti? Perché non pensano a niente se non a vivere. Io ho deciso di essere come un cane: chi se ne frega di quanto tempo ho davanti, chi se ne frega di quello che ho fatto finora nella mia vita! Non mi importa più nulla di trovare un senso, cercare risposte. Voglio solo vivere e il fatto di essere vivo, oggi, mi rende felice. That’s it!“.
Cos’è l’overthinking e perché ti rovina la vita
Quello stesso giorno, alla sera, osservavo il cielo infinito sopra Ubud, luogo che chiamo casa. Era nero, nerissimo, senza una nuvola ma tempestato di stelle.
Ripensai alle parole di quell’uomo, alla sua storia e a quel sorriso beato. Il sorriso di chi si è trovato davanti ai titoli di coda ma poi si è reso conto che il suo film, quello della sua vita, non era ancora finito. E a quel punto ha deciso di smettere di pensare troppo e godersi semplicemente ogni giornata.
L’avevo già incontrato più volte il termine che ha utilizzato, “overthinking“. È un modo con cui gli americani descrivono quello stato di agitazione che ci prende quando iniziamo a pensare troppo a qualcosa. Mille pensieri, spesso sempre più negativi, uno più grande e impegnativo degli altri, che ci portano a sentirci soffocare. Ci sentiamo sopraffatti dalla mole di pensieri che abbiamo nella testa e ci manca il fiato.
Di tutto quello che ci eravamo detti, mi aveva colpito particolarmente la frase sul cane. Aveva detto che voleva vivere come un cane, senza pensare troppo. Il suo nuovo credo era: concentrarsi sul presente, godere delle piccole cose della vita ed essere grato di essere vivo. Pensare, ma senza cadere nella trappola dell’overthinking.
Smettere di pensare troppo e iniziare a vivere
Quella sua riflessione mi ricordò una frase che avevo letto in un libro sul Buddhismo trovato nella sala comune di una guesthouse di Chiang Mai:
La vita è fortuna e sfortuna. Non importa se la tua giornata è stata fortunata o sfortunata. Sii grato di averla vissuta e quando ti sveglierai domattina, sii grato di poterne vivere un’altra. Fortunata o sfortunata che sia
Queste riflessioni possono portare a una certa ansia. È proprio questo l’overthinking, ovvero il pensare troppo senza concludere nulla. Io stesso ci sono incappato: rendersi conto che il nostro tempo è limitato e ogni singola giornata va valorizzata può agitarti e spingerti a porti domande a cui forse l’essere umano non saprà mai rispondere.
Ma quella sera, dopo aver ascoltato la testimonianza diretta di quell’uomo, ho appreso una grande verità che mi ha aiutato moltissimo a vivere serenamente: ci sono domande a cui non possiamo rispondere. Continuare a porsele significa farsi del male e perdere tempo.
Non ha alcuna importanza che un giorno moriremo. Non ci dovremmo fare ossessionare dal futuro, dall’esistenza di Dio, dal senso della vita. Credere è importante per vivere bene, ma non esiste solo il credo religioso: se hai una fede bene, altrimenti abbi fede in te stesso, nell’amore, nell’amicizia, nell’Universo.
Ci sono milioni di persone che vivono un’intera esistenza chiedendosi ogni giorno quale sia il loro scopo, quando magari lo hanno già raggiunto diventando genitori o facendo della propria passione più grande un lavoro. Puntano sempre i loro pensieri in alto, quando in realtà dovrebbero semplicemente guardarsi intorno e valorizzare ciò che hanno.
Essere grati di essere vivi vivendo al massimo ogni giorno
Certe domande esistenziali sono fondamentali. Nel mio libro “Le coordinate della felicità” le definisco “scomode” e spiego che servono a stuzzicare quella parte di noi che vuole vivere intensamente. Ma non dovrebbero mai diventare un’ossessione!
Non dovremmo stare tutto il giorno a chiederci se stiamo sfruttando bene il nostro tempo, cosa ci sarà dopo la morte e quale sia il significato di questo strano viaggio chiamato vita. Perché tutto questo è spesso uno spreco di tempo: una vita basta e avanza se la vivi nel modo giusto. Giusto per te, non per gli altri.
Al contrario, dovremmo semplicemente rilassarci, apprezzare le piccole cose su cui abbiamo il controllo e concentrarci sulla nostra realtà.
Provare a dare un senso a ogni singola giornata, ad esempio, è molto più facile di cercare il senso di un’intera vita. Prenderci cura degli altri ed essere felici di aver donato felicità, fare ogni giorno qualcosa che ci piace, impegnare la mente e il corpo in attività che ci fanno stare bene e sono utili: tutto questo significa valorizzare il tempo che abbiamo a disposizione.
Soprattutto, dovremmo essere grati di essere vivi. Dovremmo svegliarci ogni mattina ringraziando Dio, l’Universo o qualunque entità in cui crediamo per averci dato un’altra possibilità. E alla sera, quando molte persone soffrono l’ansia, dovremmo semplicemente essere contenti di aver vissuto un’altra giornata, senza permettere alla mente di impazzire e saltare verso pensieri sempre più grandi e angoscianti.
Quella sera, guardando il cielo di Ubud, non presi una decisione che avrebbe sconvolto la mia vita. Non promisi nulla a me stesso. Decisi di fare solo una cosa: ringraziare il cielo per avermi concesso un’altra giornata. Poi preparai un tè per me e per la mia ragazza e passai il resto della serata a parlare e ridere con lei.
Con il cuore pieno di gratitudine e la mente sgombra e leggera. Così è molto più facile vivere serenamente.