Esiste un modo di ragionare molto diffuso che chiamo La Grande Legge dell’Uno. È quella mentalità per cui tu debba essere solo un tipo di persona e fare una sola cosa per il resto dei tuoi giorni. Non possiamo essere più cose, non possiamo inseguire più obiettivi, non possiamo avere più di un sogno, e magari non possiamo avere nemmeno quello. Se non vogliamo essere considerati degli outsider, dobbiamo rispettare parametri ben precisi che prevedono una sola ed unica direzione.
20 anni
A 20 anni ti dicono che devi studiare o andare a lavorare.
Se scegli di studiare ti dicono “che bello non fare un cazzo dalla mattina alla sera, eh“. Se poi studi qualcosa che la massa ritiene inutile, come Filosofia, Lettere o Storia, allora sei ufficialmente un bamboccione. Ti chiedono ossessivamente quando prenderai questa benedetta laurea, facendoti ben vedere quanto la ritengano un semplice capriccio.
Se invece lavori è probabile che tu sia uno dei tanti ventenni sfruttati e sottopagati. Ogni tanto ti viene da pensare quale sia il senso di prendere insulti rinchiuso dentro un deprimente call center per €400 al mese oppure di lavorare dieci ore al giorno con un contratto da apprendista quando non stai apprendendo nulla ma ti stai solo spaccando la schiena per far guadagnare soldi a chi teoricamente dovrebbe insegnarti qualcosa.
Ma guai a lamentarti, non vorrai mica sembrare un bambino viziato: ti dicono che devi essere grato di aver un lavoro, seppur miserabile. E ti senti un fallito totale quando poi il contratto non te lo rinnovano, ti senti un incapace che non è nemmeno riuscito a tenerselo quel lavoro miserabile.
Alla fine, che tu stia studiando o lavorando, a 20 anni vai in confusione, ti deprimi e finisci per vivere con il solo obiettivo di aspettare il sabato sera, quel momento in cui ti devasti e finalmente puoi spegnere il cervello.
30 anni
A 30 anni devi iniziare a comportarti da adulto. Devi diventare serio e responsabile, anche se ciò significa rinunciare a tutti i tuoi sogni di felicità.
C’è di mezzo la carriera, c’è di mezzo il prestigio. Ti dicono di dare il massimo, perché è a questo punto che si decide tutto. Tu non capisci cosa intendano ma esegui: ti preoccupi solo di soddisfare le aspettative di successo più comuni. Fare carriera, aumentare il conto in banca, avere tanti oggetti da sfoggiare, essere il migliore sul posto di lavoro, trovare una persona qualsiasi da avere al proprio fianco pur di non restare (e soprattutto sembrare) solo/a.
Ti dicono di sacrificarti e lo fai.
Ti dicono che sei giovane e fare le ore piccole in ufficio è normale e lo fai.
Ti dicono che avrai tempo, un domani, per goderti la vita un domani e ci credi.
Quando perdi le motivazioni e ti viene voglia di mollare tutto, ti dicono che la concorrenza è spietata. Che qualcun altro è pronto a prendere il tuo posto, che sia sul lavoro o nella relazione di coppia. Ti fanno credere che i soldi che guadagni non siano mai abbastanza, che l’asticella si possa sempre alzare ancora un po’. Così alla fine, pieghi la testa e obbedisci. Continui a correre senza sosta, giorno dopo giorno, senza nemmeno renderti conto del passare del tempo.
Poi arriva la domenica sera, ti prende l’ansia e la tristezza scende sul tuo quadrato di vita. In quei momenti ti chiedi se ci sia un traguardo alla fine di tutto questo correre oppure se sia solo una bastarda illusione. Ma poi capisci che porti queste domande scomode ti renderebbe un diverso, un outsider. Hai paura di restare da solo e allora trovi un po’ di falso conforto nel “mal comune mezzo gaudio“: in fondo tutti quelli che hai intorno a te sono un po’ depressi.
40 anni
A 40 anni ci sono due possibilità: hai un partner o una famiglia di cui occuparti e per cui annullarti oppure non hai nessuno al tuo fianco e allora hai sicuramente qualche problema.
Nel primo caso devi chiudere i tuoi sogni nel cassetto e gettare la chiave, perché ormai non hai più l’età. Se provi qualcosa di diverso la gente ti ride dietro e tutti i segnali ti dicono una sola cosa: arrenditi. Ora hai perso la tua identità per diventare un genitore o un partner. Sei “il padre di” o “la moglie di“. Non c’è più spazio per te, sei sommerso di responsabilità.
Se invece a 40 anni non hai un partner e/o dei figli, sei semplicemente strano/a. Ti guarderanno con occhi pieni di compassione, come se avessi fallito su tutta la linea. Come se una donna senza marito e senza figli perdesse il suo essere donna, come se un uomo che non è padre fosse incompleto.
In ogni caso, è probabile che seguendo un percorso di vita sicuro e comune tu abbia conquistato una vita che per molti è sinonimo di successo: hai una casa grande (col mutuo), hai un’automobile costosa, hai un armadio pieno di vestiti costosi e un televisore enorme in salotto. A volte ti guardi intorno e ti rendi conto di quanti oggetti inutili facciano parte della tua esistenza. Quando provi a dire a qualcuno che forse la felicità è un’altra cosa, ti dicono di smetterla. Pacca sulla spalla e via, come se avessi raccontato una barzelletta.
Visualizza questo post su Instagram
50 anni
A 50 anni sei quasi arrivato alla pensione, ti dicono che tanto vale aspettare. Se hai un progetto, mettilo in stand-by, ormai manca poco. Le ambizioni, quelle che a 30 anni ti descrivevano come la tua unica ragione di vita, sono completamente sparite e hai il dubbio che aver dedicato i migliori anni della tua vita a rincorrerle non sia servito a niente. Hai superato il “mezzo del cammin” della tua vita e hai una paura paralizzante di fare bilanci.
60 anni
A 60 anni ti dicono che la pensione è rimandata. Spiacenti. Ti dicono che a questo punto tanto vale aspettare ancora un po’. La vocina che hai dentro ti fa notare che te lo dicevano già dieci anni fa, ma tu fai finta di non ascoltarla. E non la ascolti nemmeno quando ti dice che il tempo a tua disposizione non è infinito.
70 anni
A 70 anni, se ti è andata bene, vai in pensione. Una vita intera di lavoro, fatiche e sacrifici per arrivare a questo momento. Ora puoi finalmente… non fare nulla. Proprio così: hai tanto tempo libero per non fare niente. Perché non hai più il fisico, non hai più le energie, non hai più la voglia. Dovresti essere felice, perché hai completato il percorso che tutti ti indicavano come giusto. Hai seguito tutte le istruzioni alla lettera ma hai la tremenda sensazione che non sia servito a niente. Intanto la gente ti guarda come a dire “che bello non fare un cazzo dalla mattina alla sera, eh“. Ti senti maledettamente inutile e inadatto.
80 anni
A 80 anni, se ci arrivi, ti senti troppo vecchio per tutto. Tanto vale aspettare i titoli di coda. Mentre ripercorri la tua vita fatta di sacrifici e duro lavoro nel nome del dio denaro, delle apparenze e di tutto ciò che ti hanno sempre descritto come assolutamente “giusto“, vengono fuori i rimpianti. Ma cosa ci puoi fare, ormai? È andata così.
Chiediti questo: vuoi essere “giusto” o vuoi essere felice?
Io non so chi tu sia e quanti anni tu abbia. E non mi importa. Ma se sei arrivato/a fino a qui, vorrei proporti una cosa: smettila di seguire tutto ciò che ti spacciano come “giusto” e “normale”. La normalità non esiste e non c’è niente che sia giusto per chiunque e in qualsiasi situazione.
Otto anni fa ero uno studente universitario ed ero molto insoddisfatto della mia vita. Mi dicevano che avevo fatto la scelta giusta per costruirmi una vita giusta. Ma quello che per la società e per le persone intorno a me era giusto mi stava allontanando inesorabilmente dalla mia felicità.
Come scrivo nel primo capitolo del mio libro:
Pochi anni prima collezionavo multe a Torino mentre mi recavo all’università in automobile. Ero frustrato, insicuro, depresso e totalmente insoddisfatto della mia vita. Tutti mi dicevano che dovevo continuare su quella strada perché era quella giusta. Quella era la laurea giusta, poi avrei trovato il lavoro giusto, la ragazza giusta, la casa giusta e l’automobile giusta. E quando mi permettevo di dire che mi sarebbe piaciuto viaggiare, scoprire il mondo e magari trovare il modo di slegarmi dai nodi di un modo di vivere soffocante, le risposte diventavano sentenze. Mi sentivo dire che ero solo un ragazzino che non aveva mai lavorato in vita sua, che crescendo avrei capito quanto la vita sia un vero inferno. Mi sentivo dire che i sacrifici sono necessari e che i sogni vanno accantonati per evitare di illudersi e soffrire ancora di più. E quando addirittura osavo mettere in dubbio la validità del modello di vita occidentale, quello frenetico, freddo e limitante che adottano milioni di persone ogni singolo giorno, mi sentivo dire di lasciar perdere con quelle “paranoie”. Qualcuno mi consigliò persino di andare dallo psicologo, perché “a vent’anni devi solo goderti la vita”. Io a godermi quella vita non ci riuscivo. Mi sembrava di sprecare il mio tempo e questa sensazione mi angosciava terribilmente. Non riuscivo a perdonarmi, volevo giornate memorabili e ricche di emozioni. Non mi interessava essere giusto, volevo essere felice.
Tratto da “Le coordinate della felicità“
Il mio è un percorso di vita alternativo e a tratti assurdo, ma è su questo strano percorso di vita, lontano dalla strada battuta che percorrono miliardi di persone, che ho trovato le coordinate della mia felicità. In base a questa esperienza, vorrei darti un consiglio amichevole: ogni tanto prova a fermarti, spegni il cellulare e prenditi del tempo solo per te, senza nessuno intorno.
Rifletti, analizza la tua situazione e cerca di capire se stai vivendo secondo le tue regole oppure secondo regole decise da altri. Chiediti se vuoi morire sapendo di aver fatto tutto in modo corretto per accontentare gli altri e rispettare aspettative che non hai scelto oppure se vuoi morire con il sorriso di chi se ne va senza nessun rimpianto.
L’obiettivo della tua vita non è essere “giusto“. L’obiettivo è essere felice.