Viaggiando in Asia mi è capitato di incontrare molti monaci buddhisti sulla mia strada. Una volta, in Thailandia, vidi che alcuni di loro erano impegnati ad osservare alcune fotografie che ritraevano… un morto.
Esatto: un anziano monaco thailandese defunto, sdraiato su un letto. Non gli chiesi spiegazioni ma più avanti venni a scoprire che molti monaci buddhisti praticano questa attività: tirano fuori la fotografia di un morto e la osservano, come se fossero in uno stato di trance.
Lo fanno per un motivo ben preciso: contemplare la morte li aiuta a vivere a pieno la propria esistenza.
Può sembrare una pratica macabra e sicuramente alle nostre latitudini non verrebbe mai accettata, ma dietro a tutto questo non c’è niente di strano: osservare un cadavere, dal punto di vista di un monaco buddhista, significa prendere piena consapevolezza della propria vitalità.
Perché, come insegna Buddha: “Questo corpo è come la natura, come il futuro, come l’inevitabile destino“. Ovvero, il nostro corpo è destinato a morire. Nessuno si può sottrarre a questa regola, nemmeno l’uomo più ricco e potente del mondo.
Secondo la filosofia buddhista, la morte va affrontata perché solo così può essere accettata. Ciò che ci terrorizza è in realtà il miglior stimolo a vivere al massimo delle nostre possibilità il tempo che abbiamo a disposizione. I monaci buddhisti guardano i cadaveri per suscitare in sé stessi una domanda esistenziale fondamentale:
“Sto davvero sfruttando al massimo questo dono prezioso che è la vita?”
La morte serve a ricordarci che il nostro tempo è limitato
Se in Asia ho sempre avuto l’impressione che le persone fossero più consapevoli della loro mortalità e quindi più incentivate a vivere un’esistenza felice, ho sempre notato che alle nostre latitudini la morte è tabù, qualcosa di cui non si deve parlare, come se non esistesse.
Ed è proprio per questo motivo che pensiamo di essere immortali e avere molto tempo davanti a noi per realizzarci ed essere felici: la morte ci sembra totalmente astratta, qualcosa che capita agli altri, che si vede nei film e si legge nei libri. Almeno finché non ci capita qualcosa di tragico.
In quei casi la morte si presenta nella nostra vita senza chiedere il permesso. Sfonda la porta della nostra routine e ci urla in faccia la sua presenza. Ci mostra quanto siamo piccoli e insignificanti, quanto il nostro senso di onnipotenza sia in realtà una ridicola maschera che indossiamo quando abbiamo paura di pensare troppo.
Non parlo di quando sei tu a morire improvvisamente, perché in quel caso non ti renderesti conto di nulla, ma di quando la morte fa il capolino nella tua esistenza attraverso malattie, incidenti e vari tipi di situazioni tragiche che riguardano te o un tuo caro.
Solo a quel punto comprendi che c’è una sola verità: non ci sarai per sempre. Che tu sia credente o no, ha poca importanza: il tuo corpo e la vita come la conosci finiranno. Game over, non c’è verso di ribaltare questa situazione.
Fa paura, vero? Bene, perché è proprio da qui che devi partire: la paura è la spinta più forte che ci sia per mettere in atto un grande cambiamento. E ora che ti rendi conto di quanto siamo mortali, dovresti porti una di quelle domande scomode che solitamente proviamo a evitare:
Vuoi davvero vivere un’esistenza infelice sperando che un domani, per miracolo, qualcosa cambi all’improvviso? Prima di rispondere, ricordati che un domani potrebbe anche non esserci…
Una voglia matta di vivere
Nel mio libro “Le coordinate della felicità“, racconto la mia storia. Non è il percorso di una persona speciale, ma è un percorso di vita speciale per il semplice fatto che il protagonista (io) a un certo punto decide di smettere di sopravvivere e iniziare a vivere.
Io non ho dovuto affrontare la morte per capire quanto ero insoddisfatto. Nessuna tragedia mi ha dato quello scossone, il terremoto emozionale l’ho fatto partire da solo.
Ma in molte storie di grandi cambiamenti che ho raccontato su questo blog, spesso è proprio la presenza improvvisa della morte a innescare l’esplosione. Per qualcuno è una malattia che ti mette di fronte alla prospettiva che tutto finirà a breve, puff. Per altri è la morte di un proprio caro, che un giorno e c’era e poi all’improvviso non c’era più.
La morte fa una paura immensa, ma al tempo stesso ha il potere di farti venire una voglia matta di vivere. Perché la morte ti mette di fronte a un concetto molto semplice, che in altri ambiti chiamano “scarcity“: quando qualcosa è finito, è limitato e non dura per sempre, diventa molto appetibile.
In questo caso, è il nostro tempo ad essere finito e limitato, destinato ad esaurirsi. Nel momento in cui lo capisci, hai voglia di valorizzarlo e non sprecarne neanche un minuto.
Vuoi davvero aspettare che succeda qualcosa di tragico per iniziare ad essere felice?
Il punto, però, è un altro. Non ti devi chiedere se morirai oppure no, perché sai già la risposta. Chiediti piuttosto: vuoi davvero aspettare che succeda qualcosa di tragico per iniziare ad essere felice?
Vuoi rischiare la vita in un incidente stradale per smettere di accontentare tutti tranne te stesso? Vuoi davvero aspettare che qualche persona a te cara si ammali gravemente per capire che dono prezioso è la vita? Vuoi perdere un amico per scoprire che non esiste garanzia di avere un futuro?
No, non lo vuoi. Tutti noi dovremmo vivere ogni singolo momento come se fosse l’ultimo, perché abbiamo una sola certezza in questa vita: il “qui e ora”. In questo preciso istante io sto scrivendo. In un altro “qui e ora” tu starai leggendo. Non abbiamo altro, caro amico o amica.
Quindi godiamocelo fino in fondo questo “qui e ora”, senza aspettare che la morte venga a ricordarci che il nostro tempo è limitato.