Una vita sicura mi metteva l’ansia, dopo 5 anni in viaggio posso dire: non abbiate paura di stare soli

Potrei definire Antonio Di Guida in tanti modi ma sono sicuro che molte delle definizioni che mi vengono in mente non renderebbero giustizia al suo percorso. Perché questo ragazzo di 27 anni che ho conosciuto casualmente attraverso i social network è un vagabondo nell’animo che viaggia spinto dalla curiosità e dal desiderio di catturare la bellezza che abbiamo intorno e che troppo spesso non riusciamo a scorgere. Quella che si trova non solo nei luoghi ma anche nelle persone, nelle esperienze e nelle culture.

Nel momento in cui scrivo, Antonio si trova da qualche parte in Sud America a pedalare sotto il sole, probabilmente senza sapere precisamente dove si fermerà per montare la sua tenda oppure per condividere un pasto con perfetti sconosciuti nella sala comune di un ostello.

Ma quando parlo con Antonio mi rendo conto che questa incertezza che per molti rappresenterebbe un motivo di grande agitazione è per lui necessaria per poter vivere e viaggiare libero. Forse anche lui, come è successo a me, ha capito che libertà è uno dei sinonimi più calzanti di felicità.

Me lo sono chiesto subito dopo averlo conosciuto virtualmente e mi ero ripromesso che prima o poi avremmo fatto quattro chiacchiere a distanza attraverso il mio blog. Così ho scoperto una persona che oltre ad aver viaggiato tanto e in modo molto intenso (praticamente 5 anni consecutivi tra Africa, Australia e Sud America), ha anche imparato, risolto e analizzato tante cose della vita. Quelle a cui, in una vita “normale”, non avrebbe mai avuto modo nemmeno di avvicinarsi.

Ciao Antonio, benvenuto sul mio blog. Fin dal primo momento che ti ho incontrato sui social mi sono chiesto: “chissà chi era questo ragazzo nella sua precedente vita”. Ti va di dircelo?

Caro Gianluca, ero un ragazzo con una visione che non andava oltre la mia città nativa e mi aveva posizionato su un cammino comune e certo. Inseguivo un amore, facevo di tutto per poterlo far crescere nei migliori dei modi, a volte dimenticando di amarmi. Andavo all’università, tutti i giorni sempre la stessa strada, lo stesso casello e il solito cornetto al bar. Ricordo che avevo tanti beni materiali e poche emozioni, vivevo sotto un’unica religione e un’unica bandiera.

Avevo vissuto un’adolescenza a rincorrere una moda e un foglio di carta in cui veniva attestato, mediante un freddo numero, quali fossero le mie doti. Ricordo che tutto questo non mi pesava, supponevo che la vita dovesse essere questa e che il processo fosse questo per tutti noi esseri umani: trovare una persona che condivide il tuo cammino, entrare dentro il sistema sociale, crearsi un futuro e una dimora. Se non lo facevi eri considerato “diverso” o addirittura un nullafacente.

È questo il percorso che seguono milioni di persone. Poi qualcosa si rompe. Ne parlo nel mio libro e so che è successo anche a te. Quando hai capito che un percorso di vita “normale” e “giusto” non faceva per te?

Quando ho capito che in quella vita sicura avevo più ansie che desideri. Visionavo già il mio futuro, le rughe che iniziavano a scalfirsi sulla mia pelle e la mia anima che rimaneva sempre inchiodata in una routine che non andava oltre alle solite quattro emozioni. Ho avuto paura, tanta paura nell’abbandonare quella vita che casualmente si era creata, ma alla fine ho capito che la paura era tutta nell’abbandonare i comfort che avevo intorno. Non c’era altro.

All’età di 22 anni, all’università, vissi un periodo nero. Dopo alcuni episodi persi completamente la fiducia in tutte le persone che amavo. Oltre a questo aspetto uscivo con i miei amici e i discorsi erano sempre inchiodati sui soliti quattro temi, le serate giravano intorno ai soliti quattro locali e ai soliti volti.

Mi sentivo perso, terrorizzato nel confidarmi con quello che stava accadendo dentro la mia testa e nel proseguire la mia vita dentro quelle mura che lentamente mi stavano soffocando. Ricordo che gli ultimi esami li diedi in maniera frettolosa, mi ero messo in testa che dovevo finirli per poi poter lasciare per un periodo la mia vita. Il mio ultimo esame fu con un misero 18 ma ero tanto felice perché ero arrivato già nell’ottica in cui nessuno avrebbe più dovuto giudicarmi solo per aver ripetuto al meglio la sua materia o esaminare un curriculum pieno di esperienze lavorative.

Grazie a piccoli lavori svolti riuscii a trovare un volo verso l’Africa, precisamente in Kenya.

IG @antonio.diguida

A quel punto hai iniziato a viaggiare. Perché l’Africa?

Questa connessione con l’Africa è dovuta a mio cugino. Dopo la scomparsa del padre attraversò un periodo molto duro, ancora oggi mi pento di non essergli stato accanto. Fuggì verso la Tanzania e tornò completamente diverso, vedevo nei suoi occhi un cambiamento, un’anima nuovamente piena di voglia di vivere.

Volevo ottenere quella sensazione ma non seguire i suoi passi, volevo che il viaggio facesse il suo percorso e per questo scelsi una terra vicina, il Kenya. Trovai poi un’associazione per svolgere volontariato, in un villaggio perso nella savana più nera. Non c’era niente ma allo stesso tempo l’essenziale per poter ritornare a sentirmi vivo e grato. Una nuova esperienza, una cultura diversa da quella che mi era sempre stata imposta, una lingua indigena incredibilmente meravigliosa da imparare, nuovi volti, nuove storie, vedevi sorrisi affogati dentro un oceano duro da vivere, un habitat arido e povero ma allo stesso tempo pieno di vite pronte a vivere giorno dopo giorno ogni difficoltà.

Ho avuto tanta paura, ricordo che i primi giorni non mangiavo o dormivo, ma alla fine questa paura si è evoluta in voglia di sentirmi vivo e iniziai a vedere tutto sotto un’altra luce. Non mi dispiaceva più indossare la maglia bucata e quel riso in bianco diventava giorno dopo giorno sempre più gustoso.

Cosa ti ha insegnato l’esperienza in Africa?

Avevo iniziato a viaggiare zaino in spalla attraverso il Kenya ma non mi sentivo realizzato, volevo fare qualcosa per gli altri, volevo rendermi utile e utilizzare il mio tempo nei migliori dei modi. Conobbi un’associazione chiamata Africamilele che da li mi portò a conoscere un villaggio chiamato Chakama, a quattro ore da Malindi.

Per la prima volta realizzavo qualcosa per gli altri venendo premiato con sorrisi e abbracci. Provai una sensazione mai avuta prima: tutto quello che avevo fatto precedentemente era in cambio di soldi e se non c’erano soldi c’era un misero grazie o una pacca sulla spalla. In quel piccolo villaggio appresi quanto fosse meraviglioso vedere la gratitudine sul volto di una persona anche solo perché gli avevo dedicato un minuto o un piccolo sforzo.

Col tempo riuscii ad apprendere quanto il volontariato fosse un’esperienza che aiuta più chi lo realizza di chi lo riceve. Fare qualcosa per gli altri era diventato per me un nuovo motivo per continuare a vivere la mia vita, non pensando più ad un arricchimento dovuto ad una carriera o un foglio di laurea che stavo per ottenere. Ad oggi le esperienze di volontariato sono decine ed ognuna di esse ha portato in me un accrescimento inestimabile.

IG @antonio.diguida

Chakama è lo stesso villaggio dove è stata rapita Silvia Romano. Cosa ti senti di dire a tutti coloro che ora hanno paura di fare volontariato o semplicemente di viaggiare?

Sì, è proprio lo stesso villaggio dove purtroppo pochi giorni fa è stata rapita Silvia Romano e sogno che tutto si risolva al meglio. Tutti noi volontari intorno al mondo ci spingiamo verso questa esperienza all’estero, soprattutto in Africa non perché non vogliamo aiutare in Italia o perché siamo incoscienti, ma perché vogliamo crescere al di fuori delle nostre quattro mura, vogliamo crescere imparando una nuova cultura, un nuovo modo di vivere e connetterci il più possibile ad altre forme di vita, non fossilizzando la nostra anima in un’unica forma.

Crescere spiritualmente aiutando gli altri è un’inestimabile sensazione che oltre a farti sentire viva riesce a far felice le persone che hai intorno. Tutte queste anime coraggiose forse un giorno torneranno in Italia, magari come dice qualcuno, anche in maniera molto “inumana”, ad aiutare nella mensa dei poveri e se questo accadrà avranno un’esperienza da poter raccontare allargando la visibilità di chi li ascolta e incoraggiandoli a vivere giorno dopo giorno anche se non si vede più una luce ben chiara in un proprio futuro.

Le esperienze di volontariato nel terzo mondo aiutano a far capire quanto siamo fortunati anche quando non si riesce più a vedere niente nelle proprie mani. Mi rivolgo a tutti i viaggiatori prossimi a realizzare esperienze simili: non fate che la paura di tre bestie armate possa bloccare la vostra voglia di crescere attraverso il volontariato.

Dopo l’Africa è stato il turno dell’Australia, esperienza sulla quale hai anche scritto il tuo ultimo libro.

Tornato poi dall’Africa e laureatomi dovevo trovare il modo per ripartire da zero e crearmi una nuova vita. L’Italia non riusciva a darmi un lavoro fisso, mio padre attraversava un periodo di crisi in ambito lavorativo, dovevo trovare il modo per essere utile a entrambi. Un ragazzo mi parlò dell’Australia, di quanto quella terra potesse darmi opportunità grazie ad un visto lavorativo. Passai qualche mese a racimolare più soldi possibili per comprare un biglietto aereo verso l’Australia e ricordo che avevo circa cinquecento euro in tasca e un livello di inglese basilare quando partii.

Dopo diverse settimane riuscii a trovare un lavoro ben pagato nelle costruzioni edili. Il guadagno era ottimo e difatti riuscii a sistemare molte cose che avevo in sospeso in Italia, ma dopo alcuni mesi riuscii a entrare nell’ottica che mi stavo nuovamente chiudendo dentro un cerchio.

La sveglia alla solita ora, le giornate passate a provare le solite emozioni… la mia mente e il mio spirito erano fermi allo stesso livello di quando avevo iniziato a lavorare, il corpo faceva tutto il resto. Cresceva in me la paura di passare la vita ad inseguire una carriera e un arricchimento fondato su beni materiali.

La mia reazione? Comprai un van che trasformai in una casa mobile per viaggiare l’Australia e poter lavorare in campi diversi. Fu il periodo più incredibile della mia vita, perché nel momento in cui le giornate e i panorami si ripetevano, con la mia piccola dimora mobile potevo andare altrove e vivere nuove esperienze. Successe poi che mi innamorai della fotografia e dello scrivere, aprii un mi sito internet dove iniziai a vendere i miei scatti e il mio primo libro basato su l’esperienza vissuta in Africa.

Iniziai poi a vendere i miei scatti e alcuni articoli per agenzie australiane, da quel momento appresi che un lavoro da nomade era la miglior alternativa per vivere viaggiando, arricchendosi di esperienze e incontri invece di beni materiali.

IG @antonio.diguida

Da quel momento è iniziata la tua vita nomade…

Partii per l’Asia camminando attraverso altre culture, ero affamato di conoscere il mondo in tutte le sue forme. Volevo tuffarmi in ogni religione, cultura e esperienza che potesse cambiare per sempre la mia vita. Scrivere, fotografare e condividere era il miglior modo per potermi mantenere viaggiando. Iniziai a vendere i miei scatti realizzati in Asia, il mio primo libro nel suo piccolo veniva condiviso e quel poco riusciva a darmi sempre un pasto per poter mangiare. Ad oggi i libri sono diventati tre e non c’è gioia più grande di continuare a condividere questo cammino attraverso la scrittura sapendo che questo cammino rimarrà per sempre scritto su delle pagine e che sarà fonte d’ispirazione per molte altre anime.

Nei tuoi viaggi hai percorso migliaia di chilometri in bicicletta. Cosa rappresenta per te la bicicletta?

La prima volta che scelsi di avvicinarmi ad un viaggio in bici fu negli stati arabi, perché dovevo trovare il modo per attraversare Iran, Turchia e Grecia per tornare in Italia nel modo più efficace e lento possibile, soprattutto connettermi alla cultura persiana. Camminando non mi era possibile per via del passaporto quasi scaduto e quindi pensai alla bici.

Dopo i primi giorni avevo dolori ovunque, il mio corpo non era mai stato allenato per la bici ma allo stesso modo ogni notte che mi fermavo e dormivo nella mia tenda mi sentivo realizzato, sentivo che ogni sforzo che avevo fatto era collegato ad un tempo di meditazione con me stesso. La bicicletta è un mezzo incredibile per viaggiare, riesce a farti meditare molto, a resistere ad ogni salita e non mollare, giorno dopo giorno.

E poi riesce a mostrare alle persone che incontri la tua vera e propria purezza. A volte le persone del luogo si approfittano dei viaggiatori, ad esempio chiedendo sempre più soldi del dovuto ma se ti presenti in bici trovi sempre gente sorridente, che ti chiede da dove vieni e dove sei diretto. Ti offrono un pasto caldo e magari un posto per dormire, incontri tutta la generosità possibile.

Per questo ho deciso di continuare il mio viaggio in Sud America in bici, per connettermi più alle culture e alle persone incontrate nel mio cammino, per uscire dagli schemi di ogni viaggiatore zaino in spalla. È incredibile perché ogni giorno non sai mai dove andrai a dormire e mai cosa e chi incontrerai.

Oltre a questo aspetto, la bicicletta è perfetta per chi viaggia con pochi soldi. Visto che ho deciso di mantenermi solo con le vendite dei miei libri, al momento riesco a viaggiare proprio grazie a una bicicletta e a una manciata di riso e fagioli per pasto.

IG @antonio.diguida

C’è un viaggio in particolare che ti ha colpito più degli altri?

Non evidenzierei un solo territorio o cultura, tutto il mio cammino fino ad oggi è connesso ed ogni incontro, cultura ed esperienza vissuta hanno portato a plasmare quello in cui oggi credo fortemente. È meraviglioso poter crescere vagabondando per il mondo, ogni viaggiatore ha una sua forma, estraniandosi da quello che il progresso porta a crearci ripetutamente come una fotocopiatrice. Il mio cammino ha tante sfumature collegate con la natura, alla quale mi sono connesso con il mio corpo attraverso lo yoga, la meditazione e il cibo organico.

Ricordo bene l’esperienza vissuta in Australia raccogliendo cavolfiori in una fattoria. Ricordo l’odore di zolfo, proveniente dal prodotto chimico che veniva spruzzato tutte le notti per far crescere gli ortaggi tenendo conto solo ed esclusivamente del profitto. Sento ancora quell’odore di chimico tutte le volte che vedo una verdura o un ortaggio enorme e brillante nei grandi supermercati.

Oppure ricordo l’esperienza nella comunità krishna che realmente mi ha connesso al mio corpo grazie allo yoga, ai canti e alla meditazione. Ricordo il Vipassana svolto nel centro in Myanmar, le esperienze di volontariato in molti villaggi sparsi nel sud est asiatico, specialmente ad una in Cambogia, la scalata dell’Annapurna in Nepal o l’attraversata in bici nel territorio persiano... ogni esperienza vissuta ha portato a formare quello che sono oggi.

IG @antonio.diguida

I tuoi viaggi hanno anche una forte componente spirituale.

In questi cinque anni ho vissuto forti esperienze mistiche e ho visto che in ogni parte del mondo ognuno di noi, utilizzando qualsiasi mezzo, cerca una propria felicità interiore. Chi vive nelle grandi città la cerca in una carriera, un successo che possa fornirgli un quantitativo monetario da avere sicura la propria vita e quella dei suoi familiari, altri la cercano nelle persone, nei materiali o ancora peggio nelle sostanze stupefacenti o nell’alcool.

In Asia c’è un grande numero di anime che si direziona nella meditazione, un’illuminazione portata alla concentrazione della propria mente e della propria anima. La storia dell’Oriente li ha influenzati nel proseguire in questa direzione per trovare una cura alla propria anima.

Viaggiando in America sto apprendendo che c’è sempre la solita voglia di cercare questa cura interiore, questo senso di serenità e felicità. L’essere umano in questa parte della Terra si è evoluto circondato da frutti e piante sacre che con il loro potere riescono a far curare la propria anima. Vengono fatte cerimonie, utilizzate piante sacre per curare la propria anima, è lo stesso obbiettivo ma solo raggiunto con un metodo diverso.

Recentemente, dopo un’esperienza vissuta in Colombia attraverso una cerimonia dell’ayahuasca ho appreso che la vera cura è dentro di noi e che ogni essere umano cerca sempre un ponte per raggiungerla nella maniera più semplice. Se riusciamo a capire che la vera cura per ogni nostro male è dentro di noi riusciamo a capire che non abbiamo bisogno di niente e che nessuno nel nostro cammino può abbatterci.

Dobbiamo sforzarci di trasformare ogni sensazione negativa in positiva, capire che tutto quello che ci succede deve succedere per poter raggiungere un livello successivo alla nostra vita, un accrescimento personale. Amo conoscere le religioni in tutte le forme, provare e viverle in pieno. Ad oggi ho appreso che l’unica vera e propria religione è dentro noi stessi e non ha nessun simbolo o nome.

Cosa hai imparato in questi cinque anni di vita intensa in giro per il mondo?

Negli ultimi cinque anni, vivendo e viaggiando intorno al nostro globo, ho appreso che casa mia è sempre stata con me, che i miei famigliari e i miei amici sono le persone che esistevano intorno a me in quell’esatto momento e che non c’è niente o nessuno al mondo che possa togliermi il presente.

Viviamo in un arco di tempo che un domani avrà una fine, un tempo che vive nel mezzo fra una nascita e una morte. Quello che c’è al di fuori di questo arco di tempo non lo sappiamo, ma ogni secondo che sprechiamo a fantasticare su un futuro e a ricordare un passato è un secondo perso: sono cose che forse avverranno un domani o che sono già passate.

L’unica cosa certa è che ci sarà una fine e che questa fine non deve metterci assolutamente paura, anzi, deve incoraggiarci a vivere giorno dopo giorno in pieno la nostra giornata, a riempirla di sorrisi, di abbracci e di condivisioni con il prossimo. Il nostro peggior nemico è dentro noi stessi quando siamo infelici, quando proviamo odio e invidia per qualcuno o per qualcosa, quando ci stufiamo nel fare qualcosa o quando vogliamo gonfiare il nostro ego, l’unico vero male e nemico da dover combattere, un qualcosa che vive dentro di noi. L’ego va placato ogni volta che prova a uscire e dominarci, e lo si placa aiutando il prossimo, ascoltando senza interrompere, abbracciando senza alcun motivo e sorridendo chi ci odia.

Negli ultimi dieci minuti della nostra vita faremo un tuffo nel passato, per ricordarci ogni momento vissuto e ogni persona incontrata nella nostra vita. In quell’esatto momento rimpiangeremo di non aver fatto una determinata scelta, di non aver rischiato fino in fondo o di non aver dichiarato tanto amore ad un’anima entrata nella nostra vita e poi persa per sempre. Ci accorgeremo che non è tanto importante cosa ci sarà dopo la morte ma come siamo stati ingenui a perdere il nostro tempo dietro a cose inutili come l’inseguire un successo, gli oggetti o persone che non ci meritavano, a come siamo stati ingenui ad essere pigri nel non uscire da quel comfort che si era casualmente creato, a spendere il nostro tempo a costruire una dimora pagandola con il nostro tempo, mattone dopo mattone.

Quello che serve per poter vivere felici è qui con noi: nelle nostre mani utili per afferrare, nelle nostre braccia utili per abbracciare, nelle nostre gambe utili per camminare, nei nostri occhi utili per osservare, nelle nostre orecchie utili per ascoltare. Abbiamo tutto quello che occorre per vivere in qualsiasi parte del nostro globo e se riusciamo a capire l’essenza di questo principio, riusciamo a capire che non occorre nessuna casa, dei comfort o una persona affianco per poter vivere una vita felice.

Ho appreso che l’essere umano si evolve mediante la natura che lo circonda; dobbiamo immergerci in ogni parte del mondo per poter capire che ovunque tu sia nato, dall’altra parte del mondo c’è un tuo fratello, identico a te, ma con un accrescimento differente e che può insegnarci molto. L’essere umano si evolve condividendo i segreti nascosti fra le proprie culture, nate in ogni parte del nostro globo e non puntando il dico o facendo guerra a colui che è “diverso”.

IG @antonio.diguida

È molto raro trovare un ragazzo così giovane e così consapevole. Dove puntano ora le coordinate della tua felicità?

C’è un’esperienza che sogno di realizzare da molto tempo. Viaggio da solo ormai da cinque anni, il mio corpo mi permette di arrivare ovunque voglia sempre con la giusta grinta. Con il tempo mi sono accorto che casa mia è il mio corpo e meditando su questo mi è capitato di pensare a quelle anime bloccate in corpi che non rispondono a tutto quello che realmente vorrebbero realizzare.

Ho appreso di quanto io sia fortunato ad avere un corpo che risponde a tutto. Nel mio cammino non mi sono mai avvicinato a anime bloccate in corpi disabili, che hanno lo stesso desiderio di viaggiare ma che non possono per problemi legati alla propria disabilità. Vorrei poter condividere un viaggio con una persona con problemi motori, capire fino in fondo quanto possa essere dura vivere certi momenti che per me sono assolutamente semplici, immergermi in quegli attimi e ammirare la sua forza e tenacia di vivere con queste difficoltà motorie giorno dopo giorno.

Ogni giorno capisco sempre di più quanto possiamo imparare da loro, quanta energia di vita possiamo ricavare da tutte le persone che hanno qualche handicap. I nostri maestri di vita sono proprio loro: coloro impossibilitati a camminare o che non possono vedere la bellezza dei colori o ascoltare il suono della natura. Possiamo imparare molto da queste anime che hanno tanta tenacia di vivere una vita a colori anche se il loro corpo non gli permettere di visionarla in tutte le sue meravigliose tonalità.

Immagina di parlare a una ragazza o un ragazzo che leggendo la tua storia dice “sì, lo voglio fare anche io!”. Cosa le/gli diresti dall’alto della tua esperienza?

Voltate le spalle ad ogni comfort che si è creato/a. Cercate per un istante di vivere senza aver bisogno di niente, senza aver bisogno di uscire a fare l’aperitivo, mangiare il sushi o comprare dei vestiti firmati, senza aver bisogno di una macchina costosa solo perché ha il navigatore incorporato, annientate ogni vizio capace di manipolarvi, credendo che senza di esso non potrete finire la giornata col sorriso.

Amatevi prima di ogni altra persona, trovate qualcuno che vi ami ma che allo stesso momento dica di amare se stessa prima di tutto, l’anima gemella è colui o colei che parla mentre voi pensate la stessa cosa, che cammina parallelamente a voi e non dietro, davanti o sopra di voi. Quella persona che vi restituisce la stessa quantità di energia che gli trasmettere. Trovate un’anima che abbia la stessa voglia di vivere, che abbia passioni da voler condividere e che sia felice di poterle condividere e affrontare con voi.

Non abbiate paura di rimanere soli, conoscetevi prima di conoscere o giudicare gli altri. Passiamo tutto il nostro tempo con altre persone e mai con noi stessi, ascoltarsi e dedicarsi del tempo è un fattore importante per vivere in sintonia con noi stessi.

Vi siete mai chiesti se realmente vi conoscete o chi siete per davvero? L’unica maniera per scoprirlo è isolarsi, rimanere in silenzio e ascoltarsi fino in fondo, cercare di capire cosa vive dentro di voi, quali forze e energie vi fanno stare bene.

Riuscirete a capire che la religione più grande esiste ed è dentro di voi, che non ha un nome o un simbolo ma che ha solo il compito di farci sentire vivi qui ed ora amando sempre il prossimo. Prendete quella piccola pazzia che sorvola da mesi nella testa, ascoltatela ed esauditela, strappando così le radici da una poltrona e scollegando un cavo invisibile da una vita monotona e monocroma, senza emozioni o serenità.

Oggi è un giorno meraviglioso perché puoi respirare e puoi sentirti vivo, un giorno ti addormenterai e capirai che tutto questo arco di tempo è stato solo un meraviglioso sogno, i sogni hanno sempre una fine ma tu sarai pronto per affrontarla perché questo è il ciclo della vita e sarai pronto a trovare un’altra casa in un altro arco di tempo che fluttua fra la nascita e la morte.

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Gianluca Gotto
Gianluca Gotto
Sognavo di lavorare viaggiando, oggi scrivo mentre giro il mondo. Ho aperto Mangia Vivi Viaggia per condividere la bellezza che abbiamo intorno e mostrare che spesso la felicità si trova nelle scelte di vita alternative

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