Il mondo non è quel posto orribile che ti raccontano i telegiornali

Photo by Morre Christophe

Prima di iniziare a viaggiare ero una persona convinta che il mondo là fuori fosse un posto pericoloso e molte delle persone che lo abitano siano malvagie. Uomini e donne mossi esclusivamente dal desiderio di fregarti e ferirti.

Per questo, come tanti altri in Occidente, ero molto diffidente: non mi fidavo degli altri, dubitavo della possibilità che avessero buona volontà ed ero certo che dietro a ogni gesto di gentilezza ci fosse un secondo fine.

Non credevo nell’umanità, che consideravo invece qualcosa da cui stare alla larga. Preferivo la solitudine alla compagnia ed ero convinto che la felicità, se davvero esiste, fosse legata ai successi che io e solo io avrei ottenuto nella vita. Una questione che riguardava solo me e nessun altro. Avevo un’idea di felicità egoistica e puramente materialistica.

E guardandomi intorno, vedevo altri individui rassegnati all’idea di non potersi mai fidare degli altri, schiavi delle loro paure e per questo mai veramente felici. Sorridenti solo quando hanno la possibilità di far “schiattare di invidia” gli altri. Gli “altri” come minaccia o strumento, mai come valore aggiunto della loro vita.

Poi ho iniziato a viaggiare e ho capito che non puoi essere felice solo quando chiudi a chiave la porta di casa e ti lasci finalmente il mondo là fuori. Viaggiare mi ha insegnato che la vera felicità è proprio là fuori, in mezzo alla gente.

Come viaggiare mi ha aperto gli occhi

A vent’anni decisi di andare in Australia a costruirmi una nuova vita. Ero senza soldi, senza lavoro, senza prospettive e con una fiducia sempre più bassa nella mia possibilità di farcela. Stavo bussando alla porta di un perfetto sconosciuto per visionare una stanza in cui, forse, mi sarei trasferito.

Dopo un quarto d’ora avevo le chiavi di tutta la casa in mano. Il ragazzo che ci viveva me le diede e poi se ne andò a lavorare, lasciando tutta la casa a un perfetto sconosciuto. Lì dentro c’erano tutte le sue cose ma lui si fidò ciecamente di me, sorridendo e dicendo una frase che si scolpì nel mio cuore: “Se non ci aiutiamo tra di noi…

Io non lo avrei mai fatto. Mai avrei lasciato la mia casa in mano a uno sconosciuto con cui condividevo solo la nazionalità. Non fino a quel momento, almeno.

All’epoca il mio modo di ragionare era ben diverso da quello che ho poi acquisito viaggiando e vivendo all’estero. Purtroppo in Italia c’è una mentalità molto diffusa e radicata che ci rende sempre sospettosi e diffidenti. Ci basiamo fortemente sui pregiudizi perché i media ci bombardano dalla mattina alla sera con notizie drammatiche, catastrofiche e deprimenti. Non possiedo una televisione da anni, ma ogni volta che mi capita di tornare in Italia e guardare un telegiornale mi sembra che il mondo sia un posto tremendo e pericoloso. Esattamente l’opposto di quanto vivo sulla mia pelle ogni singolo giorno, viaggiando. Ci vogliono spaventati da tante cose, ma soprattutto da ciò che è diverso. Colore della pelle, scelte di vita, lavori alternativi: se è diverso da ciò che loro stessi definiscono “normale”, allora è il male. Così milioni di persone assumono una visione molto ristretta e vengono contagiati da una paura assoluta del prossimo. Si chiudono in loro stessi, criticano chi apre il cuore al mondo e sono sempre pronti a dubitare della bontà altrui. Tanti hanno smesso di credere che esistano ancora persone buone e disinteressate.

 

Tratto dal mio libro “Le coordinate della felicità

Anni più tardi, arrivai in piena notte in un paese sperduto nel centro del Vietnam. Non c’era nessuno in giro e alla guesthouse dove avevo prenotato una stanza mi dissero che in realtà non avevano più spazio per me. Non sapevo dove andare, pioveva ed ero stravolto dopo ore e ore di moto.

Alla fine bussai a un’altra porta e stavolta non fu un ragazzo italiano e abbronzato ad aprirmi ma una minuta signora vietnamita. Poco dopo, stavo cenando con lei e la sua famiglia, nella casa in cui loro dormivano da sempre e in cui avrei dormito anche io, quella sera.

Più recentemente, a Bali, io e la mia ragazza ci siamo ritrovato con il motore dello scooter in fumo. Fermi, in mezzo al nulla, nel tardo pomeriggio, quando il sole è già basso, pronto per lasciare spazio alla notte. Senza la possibilità di chiamare qualcuno, perché non avevamo gli smartphone con noi (non li portiamo quasi mai in giro, quando siamo in un posto che conosciamo).

Proprio quando un po’ di ansia iniziava a salire, ecco arrivare un pick-up di muratori indonesiani. “Okay? Okay?” ci chiedono. Non sanno dire altro in inglese. Due minuti dopo siamo tra di loro, sul retro del pick-up in mezzo a loro, senza capirci a parole ma capaci di comunicare con il linguaggio universale del sorriso.

Un’altra volta, invece, mi si avvicinò un ragazzo. Eravamo a Bangkok, aveva lo zaino in spalla, la pelle abbronzata, la barba lunga e gli occhi vivi di chi sta vivendo la più grande esperienza della sua vita. Ma era sconvolto: “Ho perso il portafoglio, non ho soldi o carta di credito. Vi prego, avete $50 da imprestarmi? Devo andare all’ambasciata, prometto che ve li ridarò“.

Glieli diedi, sicuro che me li avrebbe ridati. Il giorno dopo eravamo a cena con lui, a ridere e scherzare, festeggiando il ritrovamento del suo portafoglio. Dov’era? Lo aveva lasciato nel dormitorio e una viaggiatrice lo aveva lasciato in reception. A proposito di quanto facciano schifo le persone…

Il mondo non è quello che vedi in tv o di cui leggi sul giornale

Viaggiare ha cambiato tutto per me. Tutto. Il mondo che ho visitato, le persone che ho incontrato e le esperienze che ho vissuto mi hanno fatto evolvere, aprendomi gli occhi e sconvolgendo le mie vecchie e fragili convinzioni.

Così, viaggiando, ho imparato a credere negli altri come mai mi era stato insegnato. L’ho fatto attraverso l’esperienza diretta, sulla mia pelle. Prima di partire, tutto quello che sapevo me l’avevano insegnato la famiglia, la scuola e i media. E se mi ero convinto che il mondo fosse un posto pericoloso e pieno di gente malvagia, era proprio a causa del lavaggio del cervello che avevo subito leggendo i giornali e guardando i telegiornali.

Mi guardai attorno. Ovunque, nel suo ufficio, c’erano fotografie di lui insieme a ragazzi, indonesiani e stranieri, che ripulivano le spiagge dai rifiuti e mostravano con orgoglio i sacchi di spazzatura raccolta.
Mi venne naturale chiedermi come fosse possibile che un movimento locale ma così positivo non ottenesse una fama internazionale. Perché non se ne parlava in Europa? Mi avrebbe messo di buon umore sapere che dall’altra parte del mondo c’erano persone come lui, o come Emma. Invece, ogni volta che accendevo la televisione, il mio cervello veniva inondato di cazzate e notizie tragiche. Come se al mondo non esistesse
altro. Viaggiare, benché fossi solo all’inizio, mi aveva già aperto gli occhi sulla realtà.

 

Dal mio nuovo libro, “Come una notte a Bali

Un attentato qui, un omicidio lì, una turista stuprata, una coppia in luna di miele derubata, un viaggiatore disperso, un aereo che cade, una nave che affonda, un bus pieno di turisti che precipita in una scarpata. Le immagini delle povere vittime quando erano in vita, sorridenti. Tu guardi tutto questo e hai paura. Poi, anche se non te ne rendi conto, ti entra dentro un veleno che ti cambia, ti rende piccolo, diffidente e timoroso.

Vuoi scoprire com’è il mondo? Viaggia

Ascolti quelle notizie e diventi stupido. Già, proprio così: stupido. Perché non ti rendi conto che quelle singole tragedie non rappresentano la normalità, ma l’eccezione. Non tutte le viaggiatrici solitarie vengono molestate, non tutti i turisti vengono derubati, non tutte le coppie vengono truffate. Succede, così come succede che ogni tanto qualcuno vinca alla lotteria o che un malato terminale guarisca. Ma la positività non fa scalpore quanto il terrore.

Il mondo come ti viene raccontato dai media non è la normalità. Quando viaggi ti rendi conto che il mondo è meraviglioso e la maggior parte della gente è buona. E se non ci credi, ti do un consiglio: spegni la televisione, esci dal tuo piccolo quadrato di vita e parti. Te ne renderai conto da solo e sarà una scoperta più potente di qualsiasi articolo tu possa leggere. Anche questo 🙂

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Gianluca Gotto
Gianluca Gotto
Sognavo di lavorare viaggiando, oggi scrivo mentre giro il mondo. Ho aperto Mangia Vivi Viaggia per condividere la bellezza che abbiamo intorno e mostrare che spesso la felicità si trova nelle scelte di vita alternative

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