Viaggiando ho imparato tante lezioni. Ho capito che il mondo è grande e pieno di opportunità, mi sono reso conto le differenze sono un valore, ho compreso che non c’è un modo giusto di vivere e soprattutto ho realizzato che solo quando viaggiamo e ci allontaniamo dalla nostra routine possiamo davvero osservare la nostra vita con lucidità.
Viaggiare mi ha trasmesso moltissimo, ma soprattutto mi ha permesso di ragionare in modo differente su un tema di cui si parla da sempre: la felicità.
Cosa significa essere felici? Ce lo siamo chiesti tutti almeno una volta. È una domanda complessa e scomoda, al punto che difficilmente sentirai qualcuno pronunciarla ad alta voce. Anche quando sei con persone di cui ti fidi ciecamente, è improbabile che inizierai una discussione sul senso della felicità.
Al contrario, quando si trova del tempo per stare soli con se stessi, lontani dal rumore della vita quotidiana, vengono fuori mille domande che in un modo o nell’altro sono legate a questo tema. Capita a tutti di fermarsi, incantarsi e ragionare sulla vita e su cosa significhi essere felici.
A me è capitato tantissime volte viaggiando. Seduto tra due sconosciuti a bordo di un aereo, con la fronte premuta contro il finestrino di uno bus, osservando il via-vai a bordo di un treno… viaggiare ti impone momenti di solitudine che portano a grandi riflessioni che difficilmente potresti fare nella routine di tutti i giorni.
Il fallimento fa parte della ricerca della felicità
Nel tempo ho capito che la felicità è come l’essenza di viaggio: non si trova nella destinazione, ma nel percorso. Bisognerebbe sempre parlare di ricerca della felicità, perché è un viaggio all’interno della nostra vita che parte da noi e può portarci in tante direzioni diverse.
Una di queste è il fallimento.
Il fallimento non dovrebbe essere sopravvalutato, non dovremmo averne paura, perché è parte integrante delle nostre esistenze. Tutti dovremmo accettarlo e non permettere al nostro orgoglio di rifiutare a priori l’idea di fallire. Perché vivere senza fallire, significa vivere senza provarci.
Una lezione di vita durante un viaggio in bus infinito
Qualche anno fa conobbi un ragazzo a bordo di un bus che, dalla Thailandia, ci avrebbe portati in Laos. Il viaggio era infinito e il percorso tortuoso rendeva impossibile dormire. Iniziammo a parlare per ingannare il tempo: io gli raccontai della mia intenzione di visitare tutto il sud-est asiatico, lui mi spiegò di essere arrivato da una sola settimana e di essere già pronto a ripartire.
Era americano, per lui la Thailandia era letteralmente dall’altra parte del mondo. Un viaggio lungo una settimana non aveva grande senso. Gli chiesi il motivo di quella scelta e dopo qualche titubanza si lasciò andare, come spesso accade tra viaggiatori. Pur essendo perfetti sconosciuti, eravamo infatti legati da quell’unione che si crea tra perfetti sconosciuti che condividono un pezzo di strada mentre si trovano lontani migliaia di chilometri da casa.
Mi raccontò che un anno prima, lui e la sua storica fidanzata si erano lasciati. Una storia come tante, una rottura come tante. Lei aveva deciso di prendersi un anno sabbatico per visitare l’Asia, lui era rimasto a casa. Con il passare del tempo, però, aveva compreso di essere ancora innamorato di lei.
La sofferenza era atroce, i rimpianti si facevano strada nel suo cuore e la paura di aver perso l’occasione della sua vita diventava sempre più concreta. Tutti gli suggerivano di andare avanti, ma lui non voleva. Al tempo stesso, non aveva il coraggio di fare qualcosa di concreto.
Un giorno, aveva preso in mano la sua vita e aveva deciso di agire. Così aveva prenotato un biglietto per Bangkok, senza dire niente a nessuno. Il suo obiettivo era tornare dalla sua amata e provare a ricostruire il rapporto.
Lo dico subito: non è una storia a lieto fine. Una volta raggiunta la ragazza, scoprì che lei aveva decisamente voltato pagina e non ne voleva sapere. Era tornato nella camera dell’ostello in lacrime e poi aveva deciso di visitare il Laos prima di rientrare a casa.
Fallire non significa essere un fallito
Qual è la morale di questa storia? Me la spiegò lui stesso: fallire non significa essere un fallito.
Mi disse chiaramente di essersi tolto un peso dal cuore e di essere pronto a riprendere in mano la sua vita. Se non fosse mai partito per l’Asia nel disperato tentativo di riconquistarla, avrebbe continuato a vivere per anni con la speranza di poter tornare insieme a lei, fantasticando sull’impossibile.
Fallire non significa essere un fallito. Significa credere di poter cambiare le cose, mettersi in gioco per qualcosa di importante, provarci sempre e comunque. C’è da esser fieri dei propri fallimenti, come se fossero cicatrici da mostrare con orgoglio, e invece ne abbiamo una paura tremenda. Ci vergogniamo profondamente, quando la vergogna dovrebbe appartenere a coloro che non rischiano mai, a coloro che hanno barattato i loro sogni con la sicurezza di un’esistenza piatta e incolore.
Dal mio libro “Le coordinate della felicità“
In questo modo avrebbe messo in stand-by la sua vita per tanto, troppo tempo, per poi ritrovarsi inevitabilmente di fronte alla realtà dei fatti. Avrebbe fatto ancora più male, sarebbe stato ancora più devastante.
“E invece eccomi qui“, mi disse in piena notte a bordo di quello sleeping bus che arrancava sulle stradine del Laos. “Sto per visitare il Laos prima di tornare a casa, con la consapevolezza di poter davvero ripartire“.
Chi si mette in gioco ha già vinto
Ti sei mai chiesto perché esistono così tante persone rancorose e pronte a distruggere i sogni di chiunque gli capiti a tiro? Perché si tratta di individui che avevano paura di fallire e hanno rinunciato ad essere felici. Vedono gli altri provarci e non accettano l’idea che qualcuno possa fare ciò che loro non hanno trovato il coraggio di fare.
Fallire significa provarci, e provarci significa vincere. Non importa il risultato finale, l’unica cosa che conta è la consapevolezza di averci provato. Perché nel cuore di una persona che ha vissuto a pieno non c’è spazio per i “se” e per i “ma”, non c’è spazio per i rimpianti e i rimorsi.
Il fallimento è proprio come un viaggio: ne giudichi la bellezza dal primo all’ultimo momento, non solo in base al punto di arrivo. Non può essere giudicato di per sé, lo si può fare solo osservando il percorso che lo ha preceduto.
«Nulla va mai come vorremmo, Davide. C’è sempre qualcosa che va storto. A volte è un ostacolo piccolo, a volte è insormontabile. A volte è colpa nostra, a volte no. Il punto è un altro: il fallimento è inevitabile. E allora non è forse meglio fallire seguendo i propri sogni? Facendo ciò che più si ama? In quel caso non è nemmeno un fallimento, è solo un’esperienza. La sofferenza c’è quando cadi mentre stai correndo in una direzione che non volevi nemmeno prendere!»
Dal mio libro, “Succede sempre qualcosa di meraviglioso”
La ricerca della felicità passa dai fallimenti
Se sei un sognatore, se ti piace sperimentare e dar sfogo alla tua curiosità, se non ti accontenti di vivere secondo regole scritte da qualcun altro, ti assicuro che andrai incontro al fallimento.
E di questo devi essere fiero, perché il percorso verso la felicità passa inevitabilmente da una serie più o meno lunga di fallimenti. Se sbagli e impari dai tuoi errori, sei sulla buona strada per trovare la tua realizzazione personale.
Le persone soddisfatte della propria vita sono quelle che ci hanno provato. Sono come quel ragazzo americano con il cuore infranto ma la consapevolezza di dover e poter ripartire.
Chi non prova non può fallire, ma non può neanche essere pienamente realizzato. Vivere a pieno significa avere il coraggio di rischiare. E l’energia che si sprigiona dopo un fallimento è la spinta più forte verso la tua felicità.