In uno degli articoli più letti del mio blog ho raccontato la storia di una coppia che si incontra a Melbourne grazie a Tinder e dopo una settimana è già in viaggio in van per l’Australia. Senza una meta, senza piani.
Lui è australiano, lei è nel paese con il Working Holiday Visa. Non hanno certezze, se non una: sono innamorati e felici e vogliono esplorare il mondo insieme.
Un desiderio che molti riterrebbero assurdo e impossibile, ma non loro. Perché Max e Lee sono innanzitutto dei sognatori. E come dico spesso, i sognatori ce la fanno sempre se non smettono di crederci.
Max & Lee, una vita apparentemente perfetta
Nel giro di un paio di anni Max, Lee e il loro cane Occy sono diventati un punto di riferimento nella community internazionale di viaggiatori on the road e vanlifers, trasformando la passione per il viaggio in un lavoro a tempo pieno grazie al loro canale YouTube.
La loro vita sembrava semplicemente perfetta: giovani, innamorati, con un lavoro che gli garantiva la possibilità di essere sempre in viaggio.
Ricordo che tra i tanti commenti sotto al mio articolo sulla loro storia ce n’erano molti che sottolineavano proprio questo aspetto. “Cosa si può volere di più dalla vita?” si chiedevano in tanti. Una considerazione naturale, quasi scontata.
Eppure, un paio di anni fa, nel bel mezzo del loro viaggio via terra del Sud America, Max e Lee hanno deciso di mollare tutto e tornare a casa, senza fornire grandi spiegazioni. Qualche mese dopo si sono lasciati: lei è tornata stabilmente in Canada, lui in Australia.
In quel periodo, Lee ha parlato apertamente e con grande coraggio dei suoi problemi personali e ha continuato a farlo finché, qualche settimana fa, sul suo account è stato pubblicato un post diverso dai soliti. In mezzo a tutte quelle parole c’era una frase in particolare che mi ha colpito particolarmente:
La vita è più complessa di un singolo post sui social media. Le cose sono complicate. Non credete a tutto quello che vedete online. Uscite nel mondo là fuori e parlate con le persone che amate. Chiedete loro genuinamente come stanno. Siate disponibili ad aiutarle. Ad ascoltarle. Offrite il vostro aiuto. Rimuovete lo stigma di chiedere voi stessi aiuto, se ne avete bisogno.
Queste parole non le ha scritte Lee. Le hanno scritte i suoi famigliari per annunciare a tutti che dopo una lunga battaglia con la depressione, Lee si è tolta la vita.
Cosa ci insegna la battaglia di Lee con la depressione
La depressione è una malattia di cui è molto difficile parlare o scrivere.
Ci ho provato nel mio ultimo libro e vi posso assicurare che è stato incredibilmente faticoso trovare le parole giuste. È un argomento veramente delicato, perché c’è così poca informazione, così poca consapevolezza, così poca sensibilità a riguardo.
Chi ne soffre ne parla poco e a fatica, perché si tende troppo spesso a considerare la depressione come un capriccio, uno stato d’animo che appartiene a chi vuole fare la vittima e attirare l’attenzione degli altri.
Quando invece non è altro che una malattia. Ed è una malattia che provoca una sofferenza atroce, che nulla ha a che vedere con il dolore fisico ma che spesso ne causa uno persino più intenso e insopportabile.
C’è poi un altro motivo per cui si parla così poco della depressione: è una malattia che ci terrorizza perché può colpire ognuno di noi. Senza distinzioni di sesso, età, estrazione sociale. Può piombare sulla tua vita da un momento all’altro e renderla un inferno.
Questo è ciò che è successo a Lee MacMillan: non aveva una storia di problemi mentali, non aveva un motivo razionale per essere depressa. Anzi, aveva una vita apparentemente perfetta.
Era giovane e bella, aveva viaggiato per il mondo, lavorava con le sue passioni, viveva in California. Eppure la depressione si è presa anche lei. Così come in passato si è presa cantanti, attori, scrittori. Persone ricche, famose e di grande successo. Così come si è presa e si sta prendendo migliaia di persone in tutto il mondo di cui non conosceremo mai il nome e la storia.
La depressione non è un problema individuale, ma collettivo
Abbiamo il dovere di trasformare la lotta alla depressione in una questione collettiva. Non è la battaglia del singolo, è una battaglia che riguarda ognuno di noi. E la prima mossa che possiamo fare tutti insieme è sviluppare la consapevolezza che non si tratta di un capriccio, né di semplice forma di tristezza o infelicità.
Non è una scelta, è una malattia. Dobbiamo iniziare a parlarne apertamente e senza paura, specialmente in un periodo storico come questo.
Non posso dire con certezza se la pandemia abbia giocato un ruolo nella lotta di Lee. Da quello che sto leggendo tra le righe dei pensieri di chi la conosceva personalmente, credo di sì, ma non so in quale misura.
Certamente ritrovarsi limitati e bloccati, costretti dentro quattro mura, soli con i propri pensieri, per mesi e mesi, porta a una sofferenza quasi inevitabile. Per chiunque, ma soprattutto per i viaggiatori e le viaggiatrici, ovvero coloro che erano abituati a fare della libertà uno stile di vita e del viaggio una terapia.
Il ruolo dei social network nella depressione
Di certo c’è che i social media non sono stati certamente un alleato nella battaglia alla depressione di Lee.
Lee era un personaggio pubblico. Aveva parlato apertamente della sua depressione ed era stata giudicata per questo. C’erano voci false e incontrollate sui motivi della rottura con il suo ex compagno. Tantissimi haters affollavano la sezione dei commenti sotto i suoi video su YouTube e sotto i suoi post su Instagram.
Questo non è un problema che riguarda solo chi ha una certa fama. Di nuovo, riguarda tutti noi, perché ormai siamo tutti presenti sui social network. Un mondo virtuale dove c’è una tendenza pericolosa a giudicare, insultare, bullizzare, denigrare e sminuire chiunque ci capiti davanti, che sia una persona che conosciamo da anni o un perfetto sconosciuto.
La nostra società è sempre più frammentata, le persone si sentono sole e terrorizzate, ma al tempo stesso sono arriviste come non mai e in perenne competizione con gli altri. Non c’è più traccia di empatia e umanità. Certe parole, anche se pronunciate o scritte con grande superficialità, causano ferite che sulle anime più fragili possono diventare letali.
Non sto dicendo che Lee si sia tolta la vita per questo. Nessuno può sapere cosa stesse pensando e lei non ha lasciato un messaggio per spiegare il suo gesto. Ma certamente si può dire che i commenti non richiesti e i giudizi spietati abbiano contribuito a peggiorare una situazione già difficile.
In memoria di Lee MacMillan: andiamo oltre alle apparenze
Lee appariva sempre forte e sorridente, piena di energia e voglia di vivere. Eppure dietro a quell’immagine, c’era un essere umano in difficoltà, che invece di ricevere supporto era spesso vittima di critiche feroci.
Quello che è accaduto a Lee potrebbe accadere a chiunque. Può capitare a chiunque di sentirsi improvvisamente solo, perduto e senza speranza. E magari di cercare una valvola di sfogo o una distrazione nei social media. Lanciare un grido di aiuto sul web.
Se ciò che si riceve in cambio è la cattiveria, l’angoscia, la paura e l’ansia diventano insostenibili. La vita stessa, diventa insostenibile.
Ricordiamo Lee, parliamo apertamente della depressione
Lee era una viaggiatrice. Era una persona in grado di illuminare la giornata di chiunque incontrasse, come stanno testimoniando centinaia di persone in queste ultime settimane.
Ma soprattutto era una donna che non aveva paura di aprirsi e raccontare la verità. Aveva parlato della sua depressione molte volte e lo aveva fatto con il solo scopo di aiutare chiunque si trovasse nella sua stessa situazione.
Se c’è una cosa che possiamo fare per renderle omaggio, è non spegnere il riflettore su ciò che l’ha portata alla morte.
Bisogna parlare apertamente dell’importanza della salute mentale. Come ho scritto più volte ultimamente, è tremendo quanto sia sottovalutata. Tutti si preoccupano esclusivamente dei vaccini, del virus, dei contagi, di quando riapriranno i confini… e intanto milioni di persone scivolano nella depressione, i suicidi sono in costante aumento e l’uso di psicofarmaci è ai livelli più alti di sempre.
Bisogna parlarne. Affinché chiunque si trovi nella situazione in cui si è trovata Lee sappia di non essere solo/a. Questa non è una battaglia individuale, è una battaglia collettiva a cui ognuno di noi può partecipare.
In memoria di Lee MacMillan: buon viaggio, ovunque tu sia
A Lee, ovunque sia ora, auguro la pace che qui non ha trovato. La sua vita, per quanto breve, è stata una successione di esperienze e avventure straordinarie. Prima delle tenebre che hanno portato alla conclusione del suo percorso su questa Terra, c’è stata tanta luce. E tanta della sua luce resterà nei luoghi che ha visitato, amato, raccontato ed esplorato.
Ricordiamo Lee per quello che era nel profondo: una viaggiatrice, una sognatrice, un’anima libera. Ricordiamola felice e luminosa. Innamorata di sé, delle persone, del mondo e della vita.
Buon viaggio, Lee.
(se hai bisogno di aiuto, esiste questo numero verde nazionale a cui puoi rivolgerti: 800.274.274. Più in generale se hai bisogno di aiuto, non aver paura di chiedere aiuto).