Il mondo negli anni Ottanta era un posto molto diverso. Non c’erano cellulari, navigatori, internet o GPS. Poche persone viaggiavano perché non c’erano soldi e nemmeno mappe affidabili, perché i confini di certi paesi cambiavano ogni giorno.
Le strade bisognava ancora trovarle seguendo i cartelli e le indicazioni dei passanti. Non si poteva predire il maltempo e non c’era un TripAdvisor per cercare dove mangiare. S’improvvisava, ogni giorno.
Proprio in quegli anni così incerti, una donna s’imbarcò in un’avventura fantastica: un viaggio in solitaria in giro per il mondo, in sella alla sua moto.
Sarebbe tornata a casa 3 anni dopo, con il cuore pieno di ricordi e il tachimetro della sua BMW che segnava 80.000 chilometri percorsi.
Elspeth Beard, una viaggiatrice alla scoperta del mondo
Elspeth Beard è stata la prima donna al mondo a compiere il giro del mondo su due ruote. A volte, la storia viene scritta da persone comuni che seguono le proprie passioni fino in fondo e compiono le imprese più memorabili. La storia di Elspeth è piena di avventure ma anche di difficoltà.
Elspeth studiava architettura a Londra, ma passava le lezioni a immaginarsi paesaggi e strade in mezzo al nulla. Lo sapeva anche lei, al Wanderlust c’è un solo rimedio: viaggiare.
Non voleva continuare a studiare a lavorare aspettando il momento giusto, perché altrimenti quel momento le sarebbe sfuggito fra le mani continuamente e non sarebbe arrivato mai.
Così, durante l’estate del 1981, prese la moto per esplorare la Scozia e l’Irlanda, poi attraversò tutta l’Europa fino alla Corsica. Doveva essere solo un viaggetto per poi tornare ai suoi studi, e invece no: quel viaggio le fece capire che i giretti del weekend non le bastavano più.
Si mise a pianificare un lungo viaggio con la sua moto, che i suoi amici e i suoi genitori ritenevano folle.
Una donna che se ne andava in giro da sola? E per di più in moto? Sembrava uno scherzo di cattivo gusto.
La partenza di Elpeth Beard
Nel 1982 Elspeth aveva 23 anni. Nessuno pensava che quella ragazza così giovane e carina ce l’avrebbe fatta, ma lei si imbarcò lo stesso per New York con le ginocchia che tremavano dalla paura e dall’emozione.
Dalla Grande Mela iniziò il suo incredibile viaggio. Da lì, puntò il muso della sua moto verso il Canada e poi verso sud: il Messico. Poi risalì il paese fino alla California, dove prese un’altra barca, con un nuovo nome fra le labbra: Sydney, Australia.
Il primo incidente in Australia
Dopo una puntatina in Nuova Zelanda, Elspeth si fermò a Sydney per sette mesi. Quella terra così diversa, così selvaggia, l’aveva conquistata. Dormiva in un garage e lavorava in uno studio di architettura per racimolare qualche soldo.
Proprio in Australia le capitò il primo incidente, su una strada sterrata. Niente di grave, per fortuna, e dopo due settimane in ospedale ripartì alla volta di Ayers Rock e Perth, dove si imbarcò di nuovo: la sua avventura in Australia si era conclusa, era la volta di Indonesia e Singapore.
Il furto a Singapore
A Singapore le capitò la prima disavventura che un viaggio di questo tipo può portare con sé: le rubarono tutti i soldi e il passaporto, con i visti per i Paesi che doveva ancora visitare, oltre ai documenti di spedizione della moto.
Dovette quindi fermarsi per sei settimane prima di riprendere il viaggio, che la portò poi in Malesia e poi fino a Bangkok. Da qui andò Chiang Mai e poi ridiscese in Birmania, in direzione Penang, per prendere un traghetto per Madras, in India.
Il secondo incidente
Ma lungo la strada, in Thailandia, le capitò il secondo incidente. Un cane le sbucò davanti dal nulla, la BMW andò a finire contro un albero e Elspeth finì di nuovo per terra, con contusioni e abrasioni varie, ma anche stavolta con le ossa e lo spirito integri.
La curò la famiglia del giardino in cui si era schiantata. Non parlavano inglese, ma Elspeth capì che a volte le parole non servono.
Robert, il compagno di viaggio
Il motore della sua moto era danneggiato ed Elspeth lo riparò da sola. Quindi ripartì verso Madras.
Poi proseguì per Calcutta e Katmandu. Qui incontrò un viaggiatore olandese, Robert, anche lui in BMW, con il quale decise di continuare il viaggio, ma soltanto dopo aver fatto un trekking sull’Himalaya.
Uscire dall’India si rivelò più complicato del previsto. Da poco si era verificato l’assalto al Tempio d’Oro dei sikh ad Amritsar (al confine con il Pakistan), seguito poi dall’assassinio di Indira Gandhi da parte della sua guardia del corpo sikh.
La “fuga” dall’India
L’intera regione del Punjab, prima tappa della strada verso Occidente, era sotto assedio e serviva un permesso speciale per entrarci, ma la burocrazia indiana non aveva predisposto alcun lasciapassare.
Trascorsero settimane, inutilmente. Tutti i turisti aspettavano un’autorizzazione che non arrivava. Alla fine, Elspeth decise di falsificare il permesso. Le guardie al confine, non avendo mai visto quello “ufficiale”, la lasciarono passare in Pakistan.
Dopo svariati chilometri su strade sterrate, Elspeth e Robert arrivarono nell’Iran post-rivoluzionario. Il casco le fungeva come un burkha, lei non se lo tolse quasi mai.
«La gente pensava fossi un uomo», raccontò poi.
I problemi fisici prima di tornare a casa
Attraversarono il Paese in sette giorni, anche se Elspeth era molto indebolita per colpa di un’epatite galoppante e il freno posteriore della BMW era fuori uso. Si ruppe anche la frizione per colpa di una molla da pochi centesimi che nel “regno di Khomeini” non si riusciva a trovare.
Arrivati in Turchia, decisero di fermarsi per riguadagnare le forze e riparare le moto. Elspeth pesava solo 41 chili (erano 65 quando era partita dall’Inghilterra). Lei e Robert si rimisero in viaggio attraverso la Grecia e poi lungo la cosiddetta “autostrada della morte” in Jugoslavia.
«Era a due corsie, con un sacco di camion da entrambe le direzioni. Ed era disseminata di croci e fiori in ricordo dei viaggiatori morti», raccontò Elspeth.
Il rientro a casa, dopo 80mila chilometri
Tornare a casa non è mai facile, ogni viaggiatore lo sa.
Elspeth però non si perse d’animo. Negli anni dopo il suo incredibile viaggio si è laureata, ha cresciuto un figlio da sola e ha aperto il suo studio di architettura. Oggi vive in un’antica torre vittoriana che lei stessa ha restaurato. Guida ancora la moto, appena può.
Lone Rider, il libro che racconta quell’incredibile viaggio
La particolarità della sua storia è che per 30 anni nascose in una scatola le foto e i quaderni di quel grande viaggio che le aveva cambiato la vita. Mise tutto in una scatola che lasciò in fondo all’armadio.
Poi, un giorno, l’ha riaperta e ha deciso di scrivere un libro per ispirare tutte le ragazze a seguire i proprio sogni e a non farsi fermare da nessuno.
“Penso che la cosa più importante che ho imparato nei miei viaggi è che posso farcela anche da sola e posso far fronte a tutto. Penso che tu non conosca mai la persona che sei veramente finché non ti metti alla prova e ci provi davvero”, ha scritto.
“Chi ero davvero l’ho scoperto quando la moto cadeva a pezzi nel mezzo del deserto in Australia e avevo solo mezzo litro di acqua con me. Di fronte avevo ancora moltissime miglia e sapevo che non sarebbe passato nessuno. Sapevo che se ce l’avessi fatta quella volta, non avrei mai più avuto niente di cui preoccuparmi”.
“Cos’ho fatto quel giorno? Ho riparato la moto da sola e sono ripartita”.