La storia di Robyn Davidson non è molto nota in Italia, nonostante l’impresa che questa donna compì esattamente quarant’anni fa.
Il suo viaggio, poi raccontato nel libro autobiografico e nel film “Tracks“, fu straordinario e folle al tempo stesso, ma sicuramente di grandissima ispirazione per qualsiasi amante dell’avventura.
Specialmente per le donne, perché Robyn raccontò la sua impresa senza filtri, evidenziando le difficoltà ma mettendo anche in chiaro un concetto: qualsiasi donna può lanciarsi in un’avventura estrema, perché il viaggio non discrimina nessuno.
Non importa che tu sia donna o uomo, giovane o anziano: se vuoi viaggiare, puoi farlo.
La storia di Robyn Davidson
Robyn Davidson nacque nel 1950 in Australia e visse un’infanzia molto difficile a causa di una serie di problemi che tormentavano i genitori.
Quando aveva 11 anni la madre si suicidò, e lei fu costretta ad andare a vivere dalla sorella del padre. Frequentò un liceo per sole ragazze e si diplomò con il massimo dei voti, ma rifiutò una borsa di studio in Musica per trasferirsi a Brisbane e lasciarsi alle spalle il suo passato.
Lì condivise la casa con un biologo che le fece scoprire la meraviglia della natura nella sua diversità e nella sua potenza.
Decise quindi di studiare zoologia e si appassionò fin da subito ai cammelli, animali poco considerati in Occidente eppure protagonisti nella storia e nella tradizione popolare araba.
“A 25 anni ho mollato i miei studi di lingua e cultura giapponese all’università di Brisbane per trasferirmi ad Alice Springs”, ha dichiarato nel 2014. “Avevo in mente una sola cosa: una spedizione solitaria da Alice Springs fino all’Oceano Indiano, percorrendo una distanza di 2.700 km”.
Il sogno di attraversare il deserto australiano
Percorrere il deserto australiano a piedi era impossibile senza solcare le strade asfaltate, pertanto aveva bisogno di un mezzo di trasporto. Alcuni temerari affrontavano quel percorso in motocicletta, ma Robyn aveva un’idea completamente diversa: completare l’impresa in sella a un cammello.
“Perché i cammelli? Non ho una risposta pronta. Ma d’altra parte, perché no? L’Australia è un paese enorme, e molti di noi ne vedono solo una piccola parte. Se non la scopri sulle strade, i cammelli sono un mezzo di trasporto perfetto. Piccole automobili e i cavalli non sarebbero in grado di reggere a questo viaggio”.
Nonostante tutti considerassero la sua idea pura follia, Robyn si organizzò per un anno intero per viaggiare con i cammelli, imparando a curarli e cavalcarli.
“Grazie a diversi lavori, prestiti di amici e infine un piccolo supporto dalla National Geographic Society, fui in grado di acquistare l’equipaggiamento necessario e quattro splendidi cammelli: due maschi (uno giovane e uno anziano), una femmina e il suo piccolo. Ci misi un anno per prepararmi, e ai primi di aprile del 1977 ero pronta per partire”.
2.700 km con i suoi cammelli e un cane
Con lei c’era anche il suo cane Diggity, ma Robyn non aveva alcun supporto umano nella sua avventura.
L’unico a interagire con lei fu il fotografo di National Geographic Rick Smolan. La compagnia voleva documentare il viaggio che aveva in parte finanziato, e grazie a lui possiamo osservare le straordinarie immagini che ritraggono questa giovane ragazza ribelle che attraversa il deserto australiano con quattro cammelli e un cane.
“Il primo giorno fu al tempo stesso esilarante e terrificante”, racconta oggi. “La mia prima tappa era un villaggio aborigeno nell’Areyonga, raggiungibile solo attraverso una vecchia strada abbandonata. Quel giorno mi chiesi decine di volte se mi fossi persa, un quesito che mi posi innumerevoli volte nei mesi seguenti”.
Visse questo viaggio come un’autentica avventura, nella quale non avere paura di niente. Sperimentò ogni cosa: nuotò nuda nei fiumi, si nutrì di vermi, percorse a piedi o in sella tutti i tipi di deserti, da quelli con la sabbia dorata a quelli con la terra rossa.
Alla fine, dopo più di sei mesi di vita selvaggia, giunse sull’Oceano Indiano: la sua impresa era completa.
“Il viaggio parla da sé”
“I cammelli non avevano mai visto il mare e non capivano cosa fosse tutta quell’acqua“, racconta emozionata. “Fissavano l’acqua, facevano qualche passo verso l’oceano e poi scappavano terrorizzati, per tornare a fissarla. Provarono anche a berla, ma dopo il primo sorso facevano un’espressione che ancora oggi mi fa piegare dalle risate”.
Negli anni successivi, tante persone chiesero a Robyn il motivo di quel viaggio. Questa è la sua risposta:
“Me lo hanno chiesto tante volte e la mia risposta è che il viaggio parla da sé. Ma se proprio devo aggiungere altro, posso dire che semplicemente amo il deserto e il suo incomparabile silenzio. Amo stare tra gli aborigeni e imparare da loro. Amo la libertà di essere da sola. E ovviamente amo i cammelli. Cos’altro dovrei aggiungere?”