Oggi sono tante le persone che si mettono in viaggio con uno zaino in spalla, pronte a girare tutto il mondo. C’è chi lo fa prendendo decine di aerei ma ci sono anche coloro che scelgono di viaggiare senza volare, utilizzando solo navi, automobili, bus, treni o camminando per centinaia di ore.
Negli ultimi anni ho viaggiato spesso utilizzando un volo solo per raggiungere una determinata regione del mondo, per poi muovermi esclusivamente via terra (nel mio libro racconto tutta l’esplorazione del sud-est asiatico in questo modo).
Ho notato che i viaggiatori via terra sono sempre di più, a dimostrazione di un desiderio comune a molti di tornare al passato, verso un tempo nel quale viaggiare significava davvero esplorare. Non solo nuovi paesi ma anche nuove culture, nuove tradizioni, nuovi sapori, nuove abitudini. La vera esplorazione pretende la lentezza del viaggio, necessaria per potersi davvero immergere in una nuova realtà; una lentezza incompatibile con i voli aerei.
Viaggiare senza aerei: il caso di Tiziano Terzani
Uno dei casi più eclatanti e noti di ribellione alla “tirannia” dei voli fu quello di Tiziano Terzani. Il giornalista e scrittore italiano decise che per tutto il 1992 non avrebbe preso alcun volo dopo essersi ricordato di una profezia che un vecchio indovino gli fece ad Hong Kong nel lontano 1976. Quel personaggio gli aveva predetto che ventisei anni dopo sarebbe morto in un incidente aereo e l’unico modo per scampare alla fine prematura della sua esistenza fosse non volare.
Terzani scelse quindi di non prendere alcun volo nel 1992, più per gioco che per reale convinzione sui poteri profetici dell’indovino. Ma grazie a quella decisione riuscì a girare per tutto il Sud Est Asiatico esplorandone anche quelle sfumature che normalmente non avrebbe mai scoperto (da questa esperienza nacque il suo libro “Un indovino mi disse“).
Se “Un indovino mi disse” risulta ancora oggi interessante, coinvolgente e a tratti illuminante, lo si deve soprattutto alle doti narrative di Terzani, straordinario nel raccontare quell’anno vissuto senza aerei. Ma in realtà anche prima di lui ci furono tanti viaggiatori che scelsero di visitare non solo una parte di mondo, ma tutti i cinque continenti senza prendere l’aereo, dando vita a una serie di avventure semplicemente incredibili.
Storie incredibili e spesso dimenticate, come quella di Mate Šimunović.
L’incredibile storia di Mate Šimunović
Questo nome non vi dirà niente ed è normale che sia così visto che di questa storia non troverete alcuna documentazione in lingua inglese. Le uniche fonti esistenti provengono dalla Croazia, il suo paese natale.
Raccontare la meravigliosa impresa di Mate Šimunović non è facile, sia per la mancanza di informazioni, sia perché anche in Croazia non si ha accesso a nulla, a parte il suo leggendario taccuino e i suoi negativi. Solo confrontando i racconti contenuti nel suo straordinario diario di viaggio con le tante immagini scattate in giro per il mondo si può provare a ricostruire una delle storie di viaggio più incredibili di sempre.
Si può dire con certezza che il suo viaggio ebbe inizio nel 1928: all’epoca Mate aveva 28 anni, aveva vissuto la Prima Guerra Mondiale da adolescente nella sua Jugoslavia e aveva deciso che ne aveva abbastanza.
Non del suo paese, ma in generale di una vita conforme a ciò che la società si aspettava da lui. Ribelle e avventuroso fin da bambino, Šimunović radunò tutti i risparmi e con un impeto di coraggio e passione disse addio alla piccola cittadina nella quale viveva. Non poteva saperlo, ma in quel modo stava per iniziare una delle storie di viaggio più grandiose di tutti i tempi.
Non è noto l’itinerario preciso, di sicuro si sa che da quel giorno del 1928 passarono 19 anni senza fare ritorno in patria.
19 anni in giro per il mondo, un cane e nessun aereo
In quel lasso di tempo Mate visitò tutti i cinque continenti e percorse 360.000 chilometri senza mai prendere un aereo. Viaggiò in nave, in bus, a piedi e a un certo punto del suo viaggio incontrò sulla sua strada un cucciolo di pastore tedesco che sarebbe diventato suo fedele compagno di avventure. Decise di chiamarlo Globus, come il globo che stava esplorando, e fu proprio grazie al cane se oggi possiamo raccontare la storia di Mate Šimunović.
Infatti in un periodo indeterminato del suo viaggio, mentre stava tentando di raggiungere una remota isola al largo di Sumatra, l’imbarcazione si ribaltò e nel tentativo di raggiungere la riva nuotando perse la sua borsa impermeabile con dentro il diario, la macchina fotografica e tutti i negativi. Per qualche ragione Globus la raggiunse e la riportò scodinzolante al padrone che lo attendeva incredulo a riva.
Incidenti di questi tipo non furono rari durante il viaggio intorno al mondo di Mate Šimunović. D’altronde, per essere ancora più indipendente, dopo qualche anno di viaggio in navi-container, bus, biciclette e camminate interminabili acquistò una piccola barca a vela con la quale avrebbe anche risolto il problema di trovare un posto dove dormire ogni sera.
La sua scarsa conoscenza della navigazione lo portò a un passo dalla morte in più occasioni, ma alla fine riuscì sempre a cavarsela.
Tuttavia, il mezzo di trasporto preferito da Mate fu senza dubbio la bicicletta, con la quale macinò migliaia di chilometri.
La bicicletta e l’incontro con il futuro presidente degli USA
In base ai suoi diari, il viaggiatore croato visitò tutti gli Stati Uniti in bicicletta.
Fu proprio durante una di queste pedalate che conobbe un senatore del Partito Democratico americano, il quale rimase fortemente colpito dalla sua storia. Erano gli anni Trenta e il senatore si congedò da Šimunović dicendogli che avrebbe finanziato interamente un documentario sul suo giro del mondo.
Mate segnò il suo nome sull’inseparabile diario, convinto a ricontattarlo una volta tornato in patria. Quel senatore si chiamava Harry Truman e di lì a pochi anni sarebbe diventato il Presidente degli Stati Uniti d’America.
La scoperta delle popolazioni indigene
Come detto, nei 19 anni di viaggio Mate Simunovic visitò tutti i cinque continenti, in lungo e in largo. Oltre a passare per le più famose città del mondo, le sue foto mostrano un particolare interesse per le popolazioni indigene.
Anni dopo la sua morte, diversi esperti stabilirono che in più occasioni fu quasi sicuramente il primo uomo bianco a incontrare popolazioni che vivevano isolate dal mondo da sempre. Per arrivare a scoprire luoghi tanto selvaggi, Mate rischiò la vita e spinse la sua barchetta dove nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di tentare.
In particolare ebbe l’occasione di visitare alcune isole completamente incontaminate dell’Oceano Pacifico; in quei luoghi la popolazione locale lo accolse come un extraterrestre, esattamente come successe a Cristoforo Colombo e ai suoi uomini quando sbarcarono nelle Americhe. Lui non approfittò mai della situazione se non per scattare centinaia di fotografie, che oggi ci permettono di osservare una realtà ormai scomparsa.
Quando il cane Globus morì di vecchiaia, Mate iniziò a pensare di tornare in Croazia (all’epoca facente parte della Jugoslavia) almeno per qualche tempo. A livello finanziario la situazione non era delle più rosee: fino a quel momento si era mantenuto con lavori occasionali, ma invecchiando sentiva più forte il desiderio di rientrare in patria.
Nel 1947 Mate si trovava in Egitto, al termine di un lungo percorso nel Nord Africa. Quando scoprii che una nave container era diretta in Croazia, decise che era arrivato il momento di tornare a casa. Se non avesse preso quella decisione forse non avremmo mai conosciuto la sua storia, ma certamente lui avrebbe vissuto in maniera più serena gli ultimi anni della sua vita.
Il rientro in patria e il carcere
Appena rientrato a Zagabria, infatti, le cose si misero subito male. È bene sottolineare che quelli erano i primi anni della Guerra Fredda e la Jugoslavia, facendo parte dell’URSS, era coinvolta pesantemente nel conflitto ideologico con gli USA.
All’epoca chiunque si discostasse dall’idea di normalità imposta dal regime non era ben visto ed era quasi inevitabilmente destinato a fare una brutta fine. Il clima da “caccia alle streghe” rendeva tutti paranoici e la paura portava le persone a vedere spie ovunque.
Mate, che nei precedenti 19 anni era sparito dalla circolazione risultando a tratti in Africa, a tratti in Asia e soprattutto per un lungo periodo negli Stati Uniti, era finito fin da subito nel mirino dell’intelligence sovietica.
Il secondo giorno dopo essere rientrato in Croazia fu arrestato. Si trovava a Zagabria e stava fotografando un gruppo di donne in fila davanti a un supermercato. Uno scatto innocente, specialmente se si pensa a tutto ciò che aveva visto nel corso del suo viaggio, ma la polizia ne approfittò immediatamente per mettere in custodia quel 47enne ricomparso come un fantasma dopo quasi un ventennio lontano da casa.
Non si sa di preciso cosa successe in carcere e durante l’interrogatorio, ma quando Simunovic fu rilasciato non aveva più il passaporto e gli fu vietato di lasciare il paese. A tempo indeterminato.
Gli ultimi anni della vita di Mate Šimunović
Un uomo che aveva dedicato quasi metà della sua vita a percorrere 360.000 chilometri in giro per il mondo si trovava ora imprigionato in Jugoslavia. La depressione lo colse inevitabilmente e se riuscì a sopravvivere per altri ventidue anni fu solo grazie al lavoro che trovò a Vjesnik, dove fu assunto come commesso in una tabaccheria.
Per oltre due decenni lavorò a stretto contatto con la clientela, potendo quindi raccontare le sue avventure a chiunque volesse ascoltarle. Qualcuno, affascinato dai suoi racconti, gli offriva da bere al vicino bar e si faceva mostrare i suoi quaderni e le sue fotografie.
Confinato in una terra delimitata da confini immaginari, Mate continuò a viaggiare mentalmente grazie ai ricordi, ai suoi scritti e alle sue fotografie. Ben presto divenne un personaggio noto a Vjesnik, dove fu soprannominato “il giramondo“.
Qualche giornale si interessò a lui, ma Mate non sperimentò mai la fama in vita. Morì nel 1969 dimenticato da tutti e fu sepolto nel suo villaggio natale, Stilja, utilizzando tutti i risparmi che aveva.
L’eredità di Mate Šimunović
Solo molti anni dopo i suoi diari e le sue fotografie tornarono alla luce grazie al lavoro dell’alpinista e documentarista Stipe Božić. Il suo connazionale investigò su quel viaggio leggendario partendo dalle semplici voci che ancora sopravvivevano a Vjesnik, dove i vecchi del paese raccontavano di un commesso che aveva visitato tutti i cinque continenti e aveva conosciuto popolazioni indigene su isole sperdute in mezzo all’oceano.
Božić scoprì il materiale di Mate, lo studiò affascinato e gli diede la giusta esposizione mediatica, producendo anche un documentario e un libro (entrambi in lingua croata) sulla sua incredibile vicenda.
Purtroppo la storia di Mate Šimunović non ha mai superato i confini croati e anche in patria non sono molti coloro che lo conoscono. Un vero peccato, perché la grandiosità del suo viaggio rappresenta qualcosa di mai visto prima se consideriamo il periodo storico, i mezzi a disposizione e soprattutto ciò che ha lasciato in eredità ai suoi posteri.
Un invito a viaggiare lentamente
La sua documentazione, infatti, è preziosa anche e soprattutto dal punto di vista storico e antropologico. A quasi cent’anni di distanza, poter osservare le fotografie di Šimunović è come fare un salto in un tempo ormai dimenticato, in un mondo che non esiste più.
Senza rendersene conto, Šimunović è stato uno degli ultimi uomini in grado di toccare con mano un’umanità non ancora influenzata e corrotta dalla civiltà. Ciò che deve aver visto, sperimentato e incontrato nei 19 anni on the road è inimmaginabile ma le poche informazioni e immagini della sua esplorazione del mondo sono sufficienti ad accendere l’animo di ogni viaggiatore e viaggiatrice.
D’altronde, in una società proiettata sempre al futuro e alla complessità, in un’epoca caratterizzata da velocità e frenesia, la storia di questo grande esploratore è un invito a viaggiare lentamente. Solo così si può davvero capire questo mondo e le persone che lo abitano.