Da una vita grigia a nomade digitale: la mia storia di sogni, viaggi e felicità

Recentemente ero su un volo aereo che mi stava riportando in Europa dopo diversi mesi in Asia. Il mio Kindle era scarico, ero troppo stanco per lavorare al pc e ho deciso quindi di guardare uno dei film messi a disposizione dalla compagnia aerea. Ne ho trovato uno italiano che sembrava interessante: The Place.

Mi è piaciuto molto e ti consiglio di guardarlo, ma non è questo il punto. A un certo punto, il protagonista pone alla cameriera questa domanda: “Ma lei… è felice?

La donna arrossisce, poi si scandalizza e alla fine esclama: “Ma che domande sono? È da maleducati fare una domanda del genere! Non si chiede a un’altra persona se è felice

Quel dialogo ha suscitato in me un sorriso di amarezza, perché da sempre mi pongo una domanda: per quale motivo abbiamo così paura di parlare di felicità?

E mentre mi perdevo nei miei pensieri guardando le nuvole fuori dal finestrino, pensavo che fin da piccoli ci educano a inseguire tante cose nella vita ma non c’è mai nessuno che ti dica di inseguire la tua felicità.

Ci insegnano a inseguire i soldi, la carriera, la casa grande e l’automobile di lusso, come se le apparenze fossero la priorità e i soldi una sacrosanta ossessione. Ci dicono che solo così è possibile realizzarsi.

Nessuno parla mai di felicità. Nessuno ti dice mai di rischiare e fare di tutto per costruirti una vita felice. Nessuno ti dice che una vita nella quale non sorridi è una vita sprecata.

Lo scambio di battute di quel film, mi ha riportato con la mente a circa otto anni fa.

La terribile sensazione di sprecare il mio tempo

All’epoca avevo vent’anni, frequentavo l’università a Torino ed ero ossessionato dal mio orologio. Non perché fosse pregiato o perché fossi un collezionista. Era un vecchio orologio sportivo che guardavo continuamente, per un motivo ben preciso: avevo la terribile sensazione di sprecare il mio tempo.

Ogni giorno mi svegliavo di cattivo umore, uscivo nel freddo e nel grigio della città, trascorrevo un’ora ad imprecare nel traffico e nello smog, poi ascoltavo professori annoiati e tra una lezione e l’altra non facevo altro che sperare che il tempo passasse più velocemente possibile.

Se ci pensi, è davvero assurdo: il tempo è l’unica cosa che non possiamo aumentare o recuperare e io desideravo che passasse velocemente? Una persona felice dovrebbe desiderare che il tempo passi lentamente… e fu così che mi resi conto di quanto non fossi una persona felice.

Poi risalivo sulla mia vecchia Fiat 600 e passavo un’altra ora chiuso nel traffico e nello smog, con la musica della radio sparata al massimo per provare a coprire il suono dei miei pensieri.

Sia chiaro: il problema non era l’università. Forse il problema non era nemmeno il traffico, né le facce incazzate delle persone, né tutto ciò che osservavo intorno a me ogni giorno e mi deprimeva profondamente.

Il problema era dentro di me.

Un futuro sicuro, scontato e inevitabilmente infelice

Come tutti gli altri, anche io all’epoca credevo che sarei stato felice seguendo il libretto di istruzioni che hanno scritto altri, quelli che sanno sempre cosa è giusto per tutti. E così, a 20 anni vedevo davanti a me un percorso nitido, scontato, banale e sicuro.

Quello che, teoricamente, mi avrebbe reso felice.

Vedevo una laurea, poi se ero fortunato un noioso lavoro a tempo indeterminato. Vedevo un mutuo sulla casa, comodamente estinguibile in trent’anni. Vedevo un’automobile acquistata con ore e ore di lavoro, chiusa dentro un garage pagato con altre ore del mio lavoro.

Mi vedevo con un taglio di capelli normale per non attirare l’attenzione, con scarpe scomode e cravatte soffocanti. Vedevo il mio volto impeccabilmente rasato caratterizzato da un sorriso falso da indossare ogni mattina prima di andare in ufficio.

Mi vedevo a vivere per il sabato sera e per quella illusoria sensazione di libertà che ti dà. Mi vedevo a soffocare la tipica ansia da domenica sera anestetizzando il cervello con il calcio in tv. Mi vedevo a lamentarmi il lunedì mattina, imbottigliato nel traffico e nello smog, e a sperare nuovamente che il tempo passasse velocemente, verso il miraggio di una pensione che forse non avrei mai nemmeno raggiunto.

Mi vedevo così, con il pilota automatico. Vittima di una routine che mi avrebbe ucciso lentamente giorno dopo giorno, nel nome della sicurezza e della sopravvivenza.

Per qualche tempo pensai che ce l’avrei fatta. Mi dissi che dovevo tenere duro, perché se tutti seguivano quel percorso doveva essere per forza quello giusto. Pensai di essere solo un bambino viziato a immaginare percorsi differenti.

Poi, un giorno, qualcosa si ruppe dentro di me, tra il cuore e il cervello, tra la parte più emotiva e quella più razionale di me stesso. E decisi di mollare tutto (l’università, la casa dove ero nato e cresciuto, la sicurezze delle solite abitudini e delle solite persone da frequentare) e partire per la prima volta. Destinazione? Felicità.

Da Torino al mondo intero, seguendo le coordinate della mia felicità

Me la ricordo bene quella mattina di 8 anni fa. Pioveva, faceva freddo e Torino era tutta grigia. Ricordo bene quanto ero terrorizzato mentre mettevo piede su quell’aereo (il primo dei tre) che mi avrebbe portato dall’altra parte del mondo.

Avevo appena lasciato l’università e non sapevo minimamente cosa fare della mia vita. Sapevo solo una cosa: volevo partire, andare lontano e cercare di capire che forma avesse la mia felicità. Volevo scoprire il mondo e scoprire me stesso.

Se quel giorno di 8 anni fa mi avessero detto che mi sarei lasciato alle spalle il traffico di Torino, il grigio e la sensazione di soffocare, non ci avrei creduto. Se prima di partire mi avessero detto che avrei nuotato in tre diversi oceani, dormito sotto un immenso cielo stellato in Australia, chiamato “casa” una decina di posti differenti e viaggiato senza sosta per tutta l’Asia, non ci avrei creduto.

E se mi avessero detto che avrei svolto prima lavori di ogni tipo tra l’Australia e il Canada e poi avrei iniziato a lavorare dal mio computer mentre viaggiavo, guadagnandomi da vivere da qualsiasi parte del mondo, li avrei presi per pazzi. Invece tutto questo è successo davvero.

Da quel primo piccolo gesto di ribellione e da quella prima partenza, è iniziato un percorso straordinario ed emozionante, a tratti assurdo ma assolutamente indimenticabile.

Lavorare viaggiando, ovvero trovare la libertà e trovare la felicità

Mi sono trasferito a vivere in Australia, dove ho servito cappuccini in un bar che si affacciava sull’Oceano Indiano e ho dormito in automobile in mezzo al deserto, sotto a un immenso cielo stellato. Poi è stata la volta del Canada, dove ho lavorato in piena notte in un panificio e ho capito che il tempo è il bene più importante che abbiamo.

Poi mi sono detto: perché devo essere costretto a scegliere se lavorare o viaggiare? Non c’è modo di lavorare viaggiando?

Ed è così che è iniziato il mio percorso da nomade digitale. Per un anno ho dedicato la mia vita all’obiettivo di trovare un lavoro da svolgere in remoto e quando finalmente l’ho trovato, ho trovato la libertà. E trovando la libertà, ho trovato la felicità.

Così, libero dai vincoli di un impiego “normale” che ti impone di presentarti ogni giorno in un luogo ben preciso e restarci per un certo numero di ore, ho iniziato a viaggiare senza sosta. Ho esplorato il sud-est asiatico e ho vissuto alcune delle esperienze più intense della mia vita permettendo al mondo di sorprendermi ogni giorno con la sua bellezza.

E oggi non ho una casa grande, un lavoro prestigioso e un’automobile potente in garage. Ma oggi il mondo intero è la mia casa, il mio lavoro mi permette di vivere ovunque voglia e viaggiare quanto voglio e al posto dell’automobile potente in garage ho la possibilità di decidere come gestire il mio tempo senza dover chiedere il permesso a nessuno.

Un libro dedicato ai sognatori

Se mi chiedono se sono felice, non dico che è una domanda da maleducati. Anzi, rispondo che nella mia ricerca della felicità sono a buon punto, senza riuscire a trattenere un sorriso che nasce nel cuore.

Perché è tutto vero. Quello che sembrava un sogno impossibile, è diventato realtà, alla faccia di chi crede che questo mondo non sia adatto ai sognatori.

D’altronde io non sono una persona speciale ma sono riuscito a costruirmi una vita speciale, e visto che credo che la condivisione salverà il mondo, ho deciso di scrivere un libro su questo mio strano ma assolutamente fattibile percorso di vita.

Quello che mi ha permesso di evolvermi da studente universitario infelice a ciò che sono oggi, una persona che ogni giorno si sveglia con il desiderio di vivere al massimo un’altra meravigliosa giornata.

Se ce l’ho fatta io, può farcela chiunque. E spero davvero, dal profondo del mio cuore, che questo libro possa aprire gli occhi a coloro che non trovano la loro idea di felicità in un percorso di vita tradizionale.

Le coordinate della felicità: la mia storia di sogni, viaggi e pura vita

Ho chiamato il libro “Le coordinate della felicità“. Parla di sogni, viaggi e pura vita. Di libertà e felicità, che spesso sono la stessa cosa. Di piccoli gesti di ribellione necessari per realizzarsi in una società che ci vuole tutti uguali e ugualmente infelici.

Ma non solo: è anche il racconto pratico di come sia possibile cambiare vita e di come si possa diventare concretamente un nomade digitale, ovvero una persona che può lavorare in remoto dal suo computer mentre gira per il mondo.

Questo libro potrebbe non darti le risposte che cerchi, ma sicuramente ti aiuterà a porti le giuste domande. Nel caso anche tu, un domani, voglia fare ciò che ho fatto io in quella grigia giornata di 8 anni fa: partire per seguire le coordinate della tua felicità.

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Gianluca Gotto
Gianluca Gotto
Sognavo di lavorare viaggiando, oggi scrivo mentre giro il mondo. Ho aperto Mangia Vivi Viaggia per condividere la bellezza che abbiamo intorno e mostrare che spesso la felicità si trova nelle scelte di vita alternative

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