Ci sono persone che provano da sempre una sensazione di inadeguatezza dentro una vita “normale”. Non sono fatti per un lavoro di ufficio, la giacca perfettamente stirata, cinque giorni su sette dietro una scrivania, l’attesa spasmodica del weekend e il tragitto casa-lavoro sempre uguale e senza sorprese.
Però ci sono anche persone che credono di aver trovato la loro dimensione in una vita nella media, senza rendersi conto fin dall’inizio di essere portati per qualcos’altro. Sono quelle persone che per anni e anni hanno vissuto serenamente la routine e non hanno avuto alcun problema nell’adattarsi alle convenzioni.
Poi un giorno, improvvisamente, qualcosa si rompe. Un’immagine, una canzone, un libro, un incontro inaspettato… questa presa di coscienza può avere tante forme diverse ma alla fine dice una sola cosa: molla tutto e parti.
A quel punto hai le spalle al muro: puoi scegliere di restare fermo e accettare l’insoddisfazione oppure partire e scoprire cos’ha in serbo per te la vita. Puoi scegliere la certezza dell’infelicità oppure una incerta prospettiva di felicità.
Simone è un ragazzo italiano che si è trovato in questa situazione: per vent’anni ha avuto un’esistenza normale e senza turbamenti d’animo poi quel qualcosa si è rotto e ha deciso di andare a cercare risposte altrove. È partito non per una vacanza ma per un giro del mondo senza aerei. Ha lasciato casa nel 2016 e ci ha rimesso piede pochi mesi fa, due anni dopo.
20 anni dietro una scrivania
Conoscevo Simone attraverso i social network e mi ero spesso chiesto cosa lo avesse spinto a imbarcarsi per un’avventura del genere. Ma soprattutto mi chiedevo chi fosse nella sua “vita precedente”.
“Sono un ragazzo che ha sempre avuto la passione per i viaggi”, mi risponde poco dopo il rientro in Italia. “Però dovevo ridurre i viaggi allo stretto necessario a causa della cosiddetta “normalità“, la vita alla quale siamo abituati fin da piccoli che ci porta a sfruttare solo una piccolissima percentuale del tempo che ci è stato concesso per fare davvero ciò che più ci rende felici“.
Come detto, in passato Simone aveva una vita come tante. Non è uno di quelli che da fin da ragazzino sognava una vita alternativa.
“Ho trascorso 20 della mia vita seduto dietro la scrivania di un paio di grosse ditte ad Arezzo, la città dove sono nato e cresciuto. I primi dieci anni non mi sono trovato molto bene sul lavoro, ma con il secondo impiego ho davvero trovato una famiglia. Oltre a lavorare, passavo il mio tempo con gli amici, qualche partita a pallone e il fine settimana dietro il bancone di un bar per arrotondare lo stipendio che, nei canoni della società in cui viviamo, non basta mai“.
“Un giorno mi sono visto riflesso in uno schermo…”
Una vita come tante, che a un certo punto ha subito uno strappo. Improvvisamente, senza un’apparente ragione, Simone si è sentito vuoto. Se per alcuni è una canzone e per altri è una conversazione a smuovere qualcosa, per lui fu la sua immagine riflessa nello schermo del suo ufficio.
“Ad un certo punto ho capito che tutto quel correre giorno dopo giorno per raggiungere quegli obiettivi che ti vengono inculcati fin da bambino, non era assolutamente ciò che mi avrebbe reso felice. Una mattina arrivo in un ufficio e mi vedo riflesso nello schermo nero. Ci rimango di sasso: di colpo sono invecchiato di vent’anni. Com’è potuto succedere?”
5 DOMANDE PER CAPIRE SE È ORA DI CAMBIARE VITA
In un articolo di qualche tempo fa ho scritto che “a volte dovremmo fare proprio come il tempo: scorrere inesorabili verso la nostra felicità“, perché il tempo è il bene più prezioso che abbiamo. Simone se n’è reso conto quel giorno e ha deciso di iniziare subito a muoversi verso la sua felicità.
“Quel giorno ho deciso che non avrei voluto perdere un minuto di più là dentro… volevo riappropriarmi del mio tempo, che ho capito essere la cosa più preziosa del mondo. Prima che fosse troppo tardi volevo fare qualcosa di importante per valorizzare i miei giorni su questo pianeta. Ho così deciso di unire le due cose, la voglia di tornare a sorridere e la voglia di scoprire il mondo e ho deciso di partire per quest’avventura che mi ha tenuto lontano da casa per due anni”.
Il giro del mondo senza aerei
Ci sono tanti modi per vivere un’avventura straordinaria in grado di cambiarti per sempre la vita. Uno di questi è un lungo viaggio, che Simone ha deciso di rendere ancora più intenso evitando tassativamente il mezzo di trasporto più comodo e veloce: l’aeroplano.
“Ho deciso di farlo senza aerei per una sorta di sfida con me stesso e per la voglia di viaggiare lentamente, assaporando ogni secondo del viaggio. Finalmente avevo del tempo per me e non dovevo andare di fretta. Volevo godermi ogni istante”.
Simone ha utilizzato i risparmi di oltre vent’anni di lavoro per finanziare il suo sogno. Poi è partito, senza grande organizzazione.
“Mi sono organizzato poco, diciamo che a parte i pochi visti fatti prima di partire (Russia, Mongolia e Cina per poter percorrere la Transiberiana) e qualche vaccino, ho solo comprato uno zaino e buttato dentro un po’ di cose alla rinfusa, senza badare troppo o ponendo troppa attenzione. Il mio zaino pesava 21 kg alla partenza, diventati quasi subito 16 kg per aver capito solo dopo pochi giorni che il necessario per vivere era molto meno di quello che credevo alla partenza”.
Dall’Asia al Sud America passando per l’Australia
Il suo giro del mondo senza aerei è durato due anni e ha toccato decine di nazioni.
“Sono partito il 3 maggio del 2016 con un treno dalla stazione di Arezzo e mi sono diretto verso la Slovenia… in un mese ho attraversato l’Europa tra Slovacchia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia e sono entrato in Russia il primo giugno. Montato in Transiberiana a metà giugno ho percorso la Siberia e la Mongolia e sono arrivato a Pechino a fine luglio”.
“Da lì Giappone (due mesi) e di nuovo in Cina fino al Vietnam che ho percorso con una moto comprata ad Hanoi e rivenduta a Ho Chi Minh…due mesi in Vietnam e sono entrato in Cambogia per Natale, per la mia prima esperienza di volontariato a Battambang, dove sono arrivato la notte del 24 dicembre guidando un tuk-tuk pieno di regali e vestito da Babbo Natale”.
NON RIMANDARE LA TUA FELICITÀ: LA DISTANZA TRA SOGNI E REALTÀ SI CHIAMA AZIONE
“Sono rimasto circa 20 giorni con i bambini dell orfanotrofio e poi sono ripartito per Laos, Thailandia e Malesia fino a Singapore. Da lì un cargo mi ha portato a Fremantle, Australia, dove ho comprato una bicicletta e un carrello i primi di giugno e ho pedalato attraverso tutta l’Australia del sud fino a Sydney per 4.800 km, il tutto in poco più di due mesi. Una raccolta fondi aperta online durante la pedalata mi ha fatto raccogliere circa 1.500 euro che poi ho destinato a varie associazioni sudamericane”.
“Il 6 agosto sono ripartito da Sydney con un cargo e sono arrivato a Cartagena in Colombia dopo 33 giorni di navigazione totalmente disconnesso dal mondo. Ho fatto 3 mesi in Colombia con altre esperienze di volontariato, tra cui un mese a Medellin nella comuna 13 ospite di una famiglia locale che mi ha fatto innamorare di quel posto. Ho anche incontrato Katherine, una ragazza di Bogotà che poi ha deciso di raggiungermi in Italia a viaggio terminato. Dopo ci sono stati Ecuador, Perù, Bolovia, Cile, Argentina, Paraguay e Brasile da dove ho preso un’altra nave a marzo 2018 per il Marocco, e da lì Spagna e Italia fino al 3 maggio 2018″.
I ricordi indimenticabili, nel bene e nel male
Un viaggio di questo tipo porta con sé momenti indimenticabili. Nel bene e nel male.
“È difficile scegliere i momenti più esaltanti. Ci sono state tantissime esperienze incredibili come la Transiberiana, la notte dentro la Grande Muraglia, il Natale con i bambini cambogiani, le meraviglie del Laos, la gente sudamericana o l’accoglienza australiana. Forse fra i più esaltanti ci metto l’arrivo a Sydney, per aver portato a termine un’impresa da molti considerata impossibile. Poi l’aver raggiunto la vetta del Fujiama (non tanto per la sua altezza quanto per cosa rappresenta), le notti stellate nel Nullarbor Plan in Australia o quelle nel Salar de Uyuni in Bolivia, quando sembrava di essere rinchiusi dentro una scatola con miliardi di luci accese. E poi le mille persone conosciute in questo incredibile viaggio che ne sono diventate parte integrante!”
“Per quanto riguarda i momenti di debolezza, sono stati tanti. Il Vietnam in moto mi ha letteralmente mangiato dalla tensione e sono arrivato ad Ho Chi Minh che pesavo 59kg, 16 kg meno dalla partenza. O le tante notti passate in tenda da solo nel mezzo del nulla in Australia quando le temperature scendevano sotto zero. Oppure ogni volta che mi sono ritrovato sotto a qualche diluvio e la voglia di tornare a casa si faceva sempre più forte. Per fortuna le tante persone che seguivano il viaggio attraverso i social mi hanno sempre supportato e mi spingevano “virtualmente” dandomi la forza di continuare e non mollare”.
Cosa ti insegna un giro del mondo senza aerei lungo due anni
Due anni in viaggio girando il mondo senza aerei: più di un’avventura, è un’esperienza di vita che può insegnarti molto. Quando chiedo a Simone cosa abbia imparato mi risponde senza esitazioni.
“Quest’avventura mi ha insegnato a vivere il momento. Mi ha fatto capire che il senso della vita sta davvero nelle cose a cui normalmente non diamo troppa importanza, presi come siamo dalla frenesia e dal dover rincorrere quegli obiettivi che non è detto che siano giusti per tutti. Mi ha mostrato che regalare un sorriso a chi non potrà mai darti niente in cambio a parte la sua gratitudine è una delle cose che ti riempiono di più e che ognuno dovrebbe andare alla ricerca di quel minimo di felicità che può rendere la propria vita speciale”.
Si finisce di viaggiare, ma non di sognare
Molte persone quando leggono storie di questo tipo si pongono una domanda: e dopo? Già, cosa si fa dopo aver viaggiato per due anni consecutivi senza mai tornare a casa? Simone ha le idee chiare e il suo nuovo progetto di vita è nato proprio in viaggio.
“La mia vita è stata totalmente stravolta da quel lontano maggio di due anni fa, adesso i miei piani prevedono di seguire le vendite del libro che ho scritto nei due mesi passati nei cargo e che ho autopubblicato al mio arrivo in Italia, e utilizzare il ricavato per tornare a Medellin, dove ho intenzione di aprire un ostello dentro la “comuna 13”. Vorrei anche costruire un centro sportivo per i bambini della comuna e aiutare così la famiglia che mi ha ospitato a tenere i bambini lontano dalla strada e dal pericolo dei narcotrafficanti”.
Trasferirsi a vivere in Colombia per gestire un ostello a Medellin non è propriamente una passeggiata. Ma dopo il suo giro del mondo senza aerei Simone ha capito che non esistono limiti ai sogni.
“Se ho capito una cosa negli ultimi due anni è che i pensieri positivi e le buone azioni portano sempre a risultati altrettanto positivi, e se credi fermamente in quello che fai l’universo, il fato, il destino o chiamalo come vuoi troverà sempre il modo di contraccambiare e realizzare i tuoi sogni”.