Dal Tibet proibito al gelo della Siberia: Dino Lanzaretti racconta i suoi 70.000 km di viaggio in bicicletta

Quando si parla di avventure in giro per il mondo, Dino Lanzaretti è semplicemente un’icona. Numerosi viaggiatori con cui ho avuto modo di parlare negli anni, mi hanno detto di essersi ispirati a lui per i loro giri del mondo o per imprese più o meno grandi.

È difficile, quasi impossibile, inserire Dino in una categoria. È un alpinista, un ciclista, un pazzo, un uomo che ha stravolto la sua vita, un avventuriero, un viaggiatore che non ha mai smesso di assecondare il desiderio di scoprire il mondo. Ma io credo che la definizione più azzeccata sia un’altra: Dino è una delle persone più vive che esistano.

Lo ha fatto in tutti i modi, ma soprattutto sfruttando il suo corpo. Dino non ama gli aerei, né i treni, né tanto meno i veicoli a motore. Il suo mezzo preferito è la bicicletta, con cui ha percorso 70.000 km (hai letto bene) girando mezzo mondo. Ma non disdegna neanche le gambe, con le quali ha scalato le montagne più alte del Sud America.

Sulle due ruote ha compiuto viaggi a dir poco straordinari, due in particolare: la traversata del Tibet quando a nessun occidentale era permesso l’ingresso senza guide e la traversata della Siberia, definito da molti “il viaggio in  bicicletta più estremo di sempre“.

Dino non è un viaggiatore qualsiasi, ma parlandogli capisci immediatamente che condivide la stessa passione di tutti noi viaggiatori, quella che, in fondo, ci rende tutti uguali. È un uomo che ha percorso più di 70.000 km in bicicletta per il mondo eppure parla delle sue avventure con semplicità e umiltà. È stato un piacere ospitarlo su Mangia Vivi Viaggia.

IG @dinolanzaretti

Ciao Dino, benvenuto su Mangia Vivi Viaggia. Dopo aver mollato tutto e aver scalato le montagne più alte del Sud America, in te è scoppiato l’amore per la bicicletta: voli a Bangkok e da lì pedali per 8.000 km nel sud-est asiatico.

Ciao Gianluca e grazie. È andata proprio così. Volevo incontrare più persone, vedere il loro modo di vivere e imparare nuovi punti di vista. Ero un po’ stanco di passare gran parte del mio tempo nei campi base ad ascoltare le prosopopee di “alpinisti prime donne”, ero molto più attratto dalle storie che mi raccontavano i portatori e dal loro modo di vivere.

Ho quindi scelto di assaporare il mondo così com’è e non più nutrirmi dell’effimera brama di vetta unica solo degli occidentali. Volevo vedere il mondo e allo stesso tempo meritarmelo, volevo la sensazione che si ha quando si guadagna una vetta e ci si sente inebriati dalla consapevolezza di avercela fatta solo con le proprie forze.

Con questa premessa, esiste un modo migliore della bicicletta per attraversare il pianeta?

Mi regalarono una bici dal valore di 50€ e presi il biglietto più economico per l’Asia. Arrivato a Bangkok mi improvvisai in qualcosa di cui non avevo mai sentito parlare prima di allora e, spinto dalla solita buona mia curiosità, pedalai per più di 8.000km a zonzo per il sud est asiatico.

Ebbi una marea di problemi meccanici e anche parecchi acciacchi fisici dovuti al mio improvvisarmi ciclista ma adoravo quello che stavo facendo. Non c’era dubbio, al punto che giurai a me stesso che quella era la vita che volevo fare, lo giurai in preghiera davanti ad una immensa statua del Buddha. Al mio ritorno dall’Asia avevo solo in mente una cosa: ripartire.

G @dinolanzaretti

Poi hai vissuto un’esperienza incredibile: attraversare un paese “proibito” come il Tibet in bicicletta, da solo.

Misi da parte un bel po’ di soldi facendo i lavori più disparati e ripartii di nuovo per l’Oriente ma sta volta con la folle ambizione di attraversare tutto il Tibet da ovest ad est. Semplicemente non si poteva fare, a nessun occidentale era permesso di entrare nell’altopiano controllato dai Cinesi se non accompagnato da una guida e per soli 15 giorni.

Testardo, incosciente e tremendamente fortunato, riuscii ad entrare nel Tibet proibito superando decine di checkpoint di notte con la complicità delle tenebre e grazie alla pigrizia dei militari che quasi sempre dormivano sonni tranquilli.

Per mesi e mesi ho scorrazzato tra le sconfinate pianure incastonate tra le vette più alte del pianeta in continua fuga dalle autorità cinesi che erano sulle mie tracce. Reso invisibile dalla vastità, ho viaggiato in assoluta libertà tra le rovine di maestosi templi buddisti e sporadici accampamenti di nomadi che sempre mi hanno dato cibo e rifugio nelle gelide notti himalayane.

Essere uno dei pochissimi occidentali a raggiungere quelle valli incontaminate e conoscere veramente il meraviglioso popolo tibetano mi dava il coraggio di trascinare la mia pesante bici lungo steppe infinite senza nemmeno un solco di carro ad indicarmi la via. Gli imprevisti furono molteplici e le condizioni di vita davvero dure, il difficile approvvigionamento del cibo e l’alta quota non mi fecero mai abbassare la guardia durante tutto il viaggio.

IG @dinolanzaretti

Le stesse peripezie che dovetti affrontare per entrare in Tibet, le incontrai poi per uscire dal paese. Mi aspettavano un’altra dozzina di posti di controllo. Andò tutto bene fino al penultimo checkpoint dove, per un mio errore, fui stato intercettato. Fui immediatamente arrestato e trascorsi due giorni in cella con la prospettiva di essere espulso dal paese,  perdere la mia bici e tutto il materiale fotografico. Una tragedia immensa.

Ero però in un villaggetto sperduto di poche anime, dove i militari superavano di molto gli abitanti. Nessuno sapeva come procedere alla mia detenzione e non esisteva alcuna forma di comunicazione con i quartier generali delle vallate lì vicino, perché l’inverno stava chiudendo tutti i passi in quota. Riportarmi a Lhasa era impossibile. Non sapendo cosa fare, mi lasciarono andare solo dopo aver pagato una specie di tangente.

L’ufficiale più alto in grado era visibilmente imbarazzato nel chiedermi un contributo in dollari per la mia libertà e fu quasi divertente per un italiano assistere a questa forma primitiva di corruzione. Alla fine pagai 20 miseri dollari per riavere tutta la mia roba e mi rilasciarono pure una ricevuta di pagamento che mi avrebbe garantito l’incolumità fino alla fine del piccolissimo villaggio.

Alcuni giorni dopo l’inverno arrivò prepotente e metri di neve sigillarono l’altopiano imprigionando  al di la delle montagne le pattuglie di polizia che controllavano il confine. Dopo di me, nessun occidentale è riuscito ad intrufolarsi via terra in Tibet ed esplorarlo.

IG @dinolanzaretti

Sei una delle persone che più hanno viaggiato in bicicletta al mondo: 8.000 a km in Asia, 9.000 km dall’Italia all’Uzbekistan in tandem per accompagnare un ragazzo ipovedente, più di 8.000 km dalla Patagonia al Venezuela, 10.000 km da Panama a Vancouver e la lista va avanti. Cosa significa per te viaggiare in bicicletta? Quali sono i ricordi più intensi che porti dentro di te?

Al momento credo che viaggiare in bicicletta sia il modo più onesto in assoluto per vedere le persone e le bellezze di questo pianeta. Guadagnarsi la strada con il sudore e arrivare dove si vuole solo grazie all’impegno e alla fatica amplifica incredibilmente tutte le emozioni, mi provoca la stessa reazione di metter piede sulle alte cime delle montagne.

Questa onestà è anche il miglior biglietto da visita quando si arriva in un villaggio o s’incontra qualcuno lungo la strada. I turisti che visitano aree rurali arrivano su fuoristrada super accessoriati, fanno qualche foto sbattendo gli obbiettivi in faccia alla gente, distribuiscono caramelle e penne ai bambini incuriositi e se ne vanno via veloci come sono arrivati per rispettare le tempistiche del tour organizzato.

Quando invece ci si avvicina in bicicletta ad un villaggio si viene prima di tutto annunciati da qualche ragazzino eccitato dalla vista di questo sconosciuto che sta arrivando arrancante, stanco e sporco; poi gli adulti escono dalle case o arrivano dai campi incuriositi, il passo seguente è un’aprirsi di sorrisi e intenti di comunicazione che hanno spesso come conseguenza l’invito a passare la notte nelle loro case.

IG @dinolanzaretti

La bicicletta mi ha inoltre permesso di fondere assieme due degli elementi fondamentali per la mia felicità: alimentare di continuo la mia curiosità e irrorare il sangue di endorfine prodotte dai miei muscoli sotto sforzo. Stare sulla sella per un’infinità di tempo trasforma la normale pedalata in un mantra infinito che unisce il movimento fisico alla concentrazione mentale dando origine ad un composto psico-chimico che semplicemente mi fa stare bene.

Hai mai pensato di muoverti in un altro modo?

Di usare mezzi a motore non mi è mai passato per la testa per ora, mi sembrerebbe di barare e perderei il preziosissimo contatto con le persone, oltre che la soddisfazione di essere dove mi merito di stare.

Ho incontrato decine e decine di motociclisti durante i miei viaggi e non nego che il pensiero di mettermi un motore sotto al sedere mi è passato per la testa quando li vedevo superarmi senza nessuna fatica mentre io arrancavo su per le montagne maledicendo tutte le divinità assiro-babilonesi e sputando bestemmie. Ma vuoi mettere la felicità di arrivare la su in cima con le proprie gambe? Impagabilmente onesto! Inoltre non potrei mai coprirmi il volto con un casco e non sorridere alle persone che incontro.

Hai un ricordo preferito dai tuoi viaggi in bicicletta?

Ho passato quasi quattro anni in bici e ho pedalato per più di 70.000km,  fare oggi una classifica delle emozioni provate mi sembra quasi un sacrilegio. Ricorderò senza dubbio i miei compagni d’avventura incontrati lungo la strada, le donne che ho amato e le bellissime amicizie che ho approfondito.

Ad oggi il mio mondo è la risultante di tutti quei momenti intensi vissuti e dei frammenti di personalità altrui che sono riuscito a fare miei.

IG @dinolanzaretti

La tua ultima avventura è l’attraversata della Siberia sulle due ruote. È l’avventura più estrema della tua vita? Posso chiederti cosa pensi, ovvero dove vaga la tua mente, quando stai pedalando a -60°? Hai mai avuto paura di non farcela?

Indubbiamente è stata l’avventura più estrema della mia vita e, a quanto pare, anche il viaggio in bici più estremo di sempre. Sono stato il primo ad attraversare il “polo del freddo” in pieno inverno, i pochi tentativi fatti precedentemente hanno avuto un epilogo tragico.

La paura è stata la mia più fedele e inseparabile compagna per quasi tutta la durata del viaggio, era come se fosse seduta sul canotto della bici e non volesse scendere per nessun motivo. Nonostante avessi preparato questo viaggio per mesi, costruendo la bici perfetta e investendo una montagna di soldi nell’equipaggiamento tecnico migliore, ho fin da subito capito che vivere a -55°C sarebbe stato dannatamente pericoloso.

L’assoluto silenzio immobile della tundra artica era scalfito solo dal rumore delle mie ruote chiodate che graffiavano il duro ghiaccio della strada, ogni tanto gli faceva da gran cassa il battito del mio cuore che rimbombava sulle tempie quando spingevo troppo sui pedali e dovevo controllarmi perché sudare portava agravissime complicazioni.

Persino respirare era pericoloso perché l’umidità che usciva dalla mia bocca, attraverso diversi strati di maschere, si congelava all’istante ricoprendo il mio corpo di gelidi cristallo di ghiaccio. Non parliamo poi di quando mi fermavo per piantare la tenda, avevo pochissimi minuti prima di disperdere il tepore accumulato dal mio corpo sotto sforzo e dovevo fare ogni manovra il più velocemente possibile e senza commettere il minimo errore.

Durante questa fase, in condizioni particolarmente complicate, ero costretto a togliermi il primo strato di guanti per avere più manualità e non potrò mai scordare il dolore lancinante quando rimettevo le gigantesche moffole e il sangue ricominciava a scorrere attraverso le dita. La muta notte siberiana rimaneva però impassibile alle mie fortissime urla di dolore.

IG @dinolanzaretti

Come se non bastasse il mio costoso equipaggiamento perdeva giorno dopo giorno la sua capacità isolante a causa dell’umidità del  corpo che s’intrufolava tra le fibre congelandole, ero quindi consapevole che avrei avuto inesorabilmente sempre più freddo man mano che l’attraversata andava avanti.

Innumerevoli altre paure pedalavano con me ogni giorno ma sopratutto mi vegliavano durante le infinite nottate a -60°C che passavo insonni per il timore di non svegliarmi l’indomani. Ho vissuto in questa situazione di terrore assoluto per le prime settimane ma poi, con l’esperienza maturata sul campo,  ho analizzato le criticità e trovato il modo di aggirarle quasi tutte. Nel giro di un mese padroneggiavo la situazione e avevo imparato a vivere nell’ambiente più estremo della terra. Una mattina la paura era scesa dal canotto della bici e mi salutava da lontano.

Dopo 2000km in questa situazione e quasi due mesi di viaggio la mia strada svoltò verso sud andando lentamente verso latitudini meno rigide. Esaltato dalla riuscita di questa meravigliosa esperienza ho deciso quindi di non fermarmi e di continuare a pedalare fino a casa per altri 15.000km. Il mio ritorno in Italia è stato quindi molto graduale ed eccitante, sono arrivato esattamente il giorno di Natale dell’anno seguente e giusto in tempo per il pranzo con tutti i parenti.

Che mondo sarebbe se tutti usassimo la bicicletta per gli spostamenti di tutti i giorni invece di prendere l’automobile?

Credo sarebbe un mondo da provare, no? Ad oggi stiamo assistendo ad un boom incredibile per quanto riguarda la mobilità sostenibile e in particolare dell’uso della bicicletta. Perfino il Dio denaro, che di questo pianeta ha fatto scempio, si è dovuto convertire ad un’economia verde che, per la prima volta, produce ricchezza e non danneggia l’ambiente.

La bici è un business sotto gli occhi di tutti e nei prossimi anni sarà destinato a crescere vertiginosamente. Molti paesi europei si stanno adeguando a questo inarrestabile domanda di mobilità verde e le piste ciclabili crescono anno per anno. Sono belle notizie, ma adesso tocca solo a noi capire che lasciare la macchina in garage non solo aiuterà il futuro del pianeta, ma migliorerà la nostra salute e sopratutto il nostro equilibrio psicofisico.

Pedalare fa bene e dà felicità, bisogna metterselo bene in testa. Io rimango estremamente fiducioso che in futuro si userà sempre di più la bicicletta sia per andare al lavoro che per farsi le ferie o perché no, per fare il giro del mondo.

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Gianluca Gotto
Gianluca Gotto
Sognavo di lavorare viaggiando, oggi scrivo mentre giro il mondo. Ho aperto Mangia Vivi Viaggia per condividere la bellezza che abbiamo intorno e mostrare che spesso la felicità si trova nelle scelte di vita alternative

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