Ho trovato il coraggio di mollare tutto e partire. Destinazione? Felicità

Fino a tre anni fa avevo una vita perfettamente inquadrata negli schemi della società occidentale: classe 1979, nato a Genova ma trapiantato nelle campagne milanesi, sposato, un lavoro da informatico ben pagato, casa di proprietà arredata Ikea e piccoli viaggetti durante le ferie estive: due-tre settimane d’aria in cui facevo di tutto per dar sfogo alla mia innata curiosità di conoscere il mondo.

Ero felice? Sì e no.

Amavo mia moglie, il nostro tempo insieme, le mie passioni, i nostri viaggi. Da sempre sentivo però un impulso nel cercare uno stile di vita più consapevole, spirituale, più connesso con me stesso e la natura, che mi sembrava come imprigionato nel mio profondo.

Pensavo di fare il bene del pianeta chiudendo l’acqua del rubinetto mentre lavavo i denti. Ne andavo orgoglioso. Tutto qui, ma poi in fondo mi muovevo sempre in auto, ero un gran consumatore di carne e spendevo la maggior parte del mio tempo libero tra aperitivi, shopping e passeggiate in città.

Ok, sto estremizzando la descrizione, ma il punto era proprio quello: sognavo una vita libera, consapevole ed entusiasmante, ma, soffocato dalla quotidianità e assuefatto dagli usi di questa società, ne vivevo un’altra che era l’esatto opposto, incapace di fare i passi necessari per cambiarla davvero.

Tutte le comodità e le sicurezze che mi ero costruito erano diventate come una gabbia, la cosiddetta “comfort zone”: comoda, dorata e lussuosa, ma pur sempre una gabbia. E da questa, seppur mi rendeva infelice, avevo una paura folle di uscire: sarebbe stato come un salto nel buio e quindi mi tenevo strette le mie certezze e i miei mille compromessi.

Per quanto riguarda i viaggi, ricordo ancora che guardavo in TV ogni tipo di documentario o reportage. Ogni tanto, a “Alle falde del Kilimangiaro”, venivano invitati ospiti, per lo più stranieri, che avevano messo in pausa la vita lavorativa e avevano deciso di girare il mondo per quale mese, un anno.

Io pendevo dalle loro labbra, era tutto magnifico, troppo bello per essere vero. Mi sembravano i supereroi di un sogno per me irrealizzabile, talmente utopico che nemmeno lo valutavo come lontanamente possibile.

Ero stufo della mia quotidianità sempre uguale ed estremamente demoralizzato dal sistema Italia: debito pubblico, corruzione, ignoranza dilagante, ambienti di lavoro sempre meno meritocratici, basati sulla raccomandazione. Mi sentivo come un’isola, senza una comunità con cui condividere i miei pensieri e valori. Avevo la sensazione di correre ogni giorno per nulla, come un criceto nella ruota.

La mia soluzione? Trasferirmi nei Paesi Bassi, dove tutto funzionava, dove c’era un meraviglioso bilanciamento della vita privata e lavorativa: lì sarei stato una risorsa e non solo uno schiavo da spremere in nome della crisi.

Lì avrei trovato la felicità che cercavo.

Tante volte avevo progettato il nostro trasferimento: cosa vendere, cosa portare, dove prender casa, come cercare lavoro.
Poi, quando arrivava il momento di agire sul serio, venivo pervaso dal terrore, rimanevo come immobilizzato e finivo per tornare sui miei passi, convincendomi da solo che quella di rimanere era la scelta migliore, che ogni paese ha i suoi problemi ed io, in fondo, ero felice lì dove già ero. Mi ripetevo mille volte che non c’era nessun motivo per cambiare e lasciare le mie certezze, finché la mia mente si calmava, almeno per qualche mese.

Ma poi l’insoddisfazione tornava all’attacco ed ero nuovamente frustrato, infelice. Così erano passati gli ultimi dieci e più anni della mia vita.

Poi, a Settembre 2013, un fantastico viaggio “on the road” negli USA e il contatto con una natura imponente, come mai l’avevo conosciuta: ho scoperto un’estrema sensazione di libertà, di non aver bisogno di nulla se non del mio spirito d’avventura. Mi sono sentito improvvisamente vivo.

Tre settimane meravigliose e poi il giorno del ritorno, in cui mi sono ritrovato a Malpensa in mezzo a nebbia e gelo, pronto a rientrare al lavoro il giorno dopo. Ricordo quel momento come fosse ieri, perché lì è avvenuto il mio cortocircuito.

Mi sono detto che non potevo più sprecare tempo prezioso e ho giurato a me stesso che tutto sarebbe cambiato. L’idea di trasferirci nei Paesi Bassi si è velocemente trasformata in quella di lasciare l’Italia e viaggiare a tempo indeterminato, fino a quando non avremmo trovato il nostro posto nel mondo, fosse stato in Europa o altrove.

Da lì in poi ci sono stati quasi due anni di preparazione, perché, quando prendi una decisione simile, è fondamentale tagliare tutte le radici e chiudere uno ad uno tutti i problemi aperti, pena portarli in viaggio con te.

A due mesi alla partenza avevo venduto/regalato tutto il possibile, lasciato il lavoro e l’auto aziendale. Casa affidata ad un’agenzia per la vendita e valigie pronte.

Una mattina, mia moglie, mia compagna in quest’avventura e negli undici anni precedenti, mi dice che non vuole più partire e che forse non mi ama più.

Un fulmine a ciel sereno: mai avrei pensato ad una svolta simile, anzi, questo viaggio nella nostra mente doveva essere il coronamento della nostra storia d’amore, andare insieme incontro alla libertà e ai nostri desideri, mettere noi stessi come coppia al centro.

Che fare a quel punto? Io non ero disposto a rinunciare al mio sogno: troppe volte ci eravamo tirati indietro e il copione si stava ripetendo per l’ennesima volta. No, questa volta no. Questa volta eravamo andati troppo in là.

Risultato: nel giro di tre sole settimane, dopo undici anni, ci siamo improvvisamente separati.

Tutto il mio universo, il mio concetto di felicità, le mie aspirazioni, sono crollati come un castello di carte.
Mi sono trovato davanti a un bivio: vivere nel dolore, fare un passo indietro e cercare di tornare alla normalità quotidiana che già conoscevo oppure rialzarmi e perseguire il mio sogno.

Ho scelto la seconda opzione: ho spazzato via le macerie, mi sono riorganizzato e sono partito alla volta dell’Indonesia.

Sapevo che in viaggio avrei trovato le risposte (pur non conoscendo ancora le domande) e, mettendomi alla prova, ero sicuro che avrei vinto le paure che fino a quel momento mi avevano impedito di lasciare la mia zona di comfort, di trasferirmi all’estero, di vivere la mia vita a pieno.

L’esperienza che ho vissuto nel lasciare il mio lavoro da dipendente, ben prima di partire, è stata come una forte disintossicazione. Ero abituato alla frenesia e allo stress di una vita di corsa, multitasking sul lavoro, dove per ogni cosa dovevo chiedere ferie e permessi, incastrare gli appuntamenti come in una partita a Tetris.

Mi sono trovato improvvisamente fermo, con un mare di tempo a disposizione: il sogno di una vita. Ma nonostante le lancette dell’orologio rallentate, il mio cuore continuava a battere come un tamburo impazzito. Corpo e mente hanno iniziato a buttare fuori ogni tipo di tossina e ciò si è manifestato in ansia, pianti, blocchi muscolari, rabbia, insonnia. Questa fase è durata un paio di mesi, in concomitanza con il mio passaggio da una dieta onnivora a quella vegana.

È stata parecchio dura, ma, arrivato al termine, ho iniziato a provare sensazioni completamente nuove: un’energia mai provata prima, un’incredibile connessione con la natura, la consapevolezza della mia vita nel momento presente nel senso di maggiore attenzione agli impulsi interni ed esterni, concentrazione, emozioni molto più forti e vitali.

Koh Phangan, Thailandia

All’inizio di questa avventura mi sentivo come in balia di un fiume in piena che mi sballottava sulle rocce: ero tornato come bambino, capace di meravigliarmi per ogni cosa, vulnerabile, investito in pieno dalle emozioni, per lo più positive, che mi facevano sentire come se fossi rinato una seconda volta.

Come se fino a quel momento non avessi vissuto veramente.

Poi un giorno, in Thailandia, sul traghetto che mi stava portando verso l’isola di Koh Phangan, ho incontrato una coppia di italiani, entrambi insegnanti di Yoga. Io non sapevo praticamente nulla di Yoga: avevo provato due lezioni in Indonesia e mi era parecchio piaciuto. Fatto sta che ne giro di qualche giorno, dal mio programma iniziale di passare lì tre notti per andare quindi a Koh Tao, mi sono ritrovato con una casa in affitto in mezzo alla giungla e fino a dieci ore di lezioni giornaliere in una famosa scuola di Yoga sull’isola.

È stato come un cortocircuito, come se avessi aperto gli occhi per la prima volta: le risposte alle mie domande che arrivavano, la certezza di aver fatto la scelta giusta e di camminare sul percorso che avevo da sempre inconsciamente cercato. Lo Yoga non è ginnastica, né superstizione: ti dà gli strumenti necessari per capirti, per far fluire le tue energie ed entrare in contatto con quelle della natura e dell’universo. Come in una terapia psicologica, impari a riconoscere i tuoi schemi mentali e affrontarli, a vivere la vita in modo diverso e consapevole.

Lo Yoga, poi, è solo l’inizio. È la porta d’ingresso ad un mondo di spiritualità e conoscenze che ti aiutano ad uscire dal dolore e dalle paure circoscritte alla tua piccola realtà. Prima, come adesso, l’obiettivo della mia vita era principalmente uno: la felicità.

Quello che è cambiato è il modo di intenderla e cercarla. Prima vedevo la felicità come l’assenza di imprevisti e il controllo sulla mia vita. Per perseguire quell’idea cercavo di eliminare ogni possibile problema, risparmiare più soldi possibile come se mi dovessi preparare alla tempesta perfetta, chiuso in una botte di ferro.

Tutto ciò che pensavo mi rendesse felice, nella mia concezione di felicità, era esterno: il mio matrimonio, il lavoro e il conseguente stipendio, la mia casa, la mia auto, il mio conto in banca. Soldi e vita senza imprevisti significavano per me tranquillità e il poter dormire la notte senza pensieri.

Così facendo, senza rendermene conto, avevo man mano smesso di vivere, proiettato nel futuro, aspettando un domani felice che mai sarebbe arrivato. Perché c’era sempre qualcosa che poteva essere migliorato, così come i soldi risparmiati non sembravano mai abbastanza.

Oggi, al contrario, cerco la felicità dentro me stesso e nel crescere ogni giorno. Questa, infatti, non dipende da cosa mi circonda, ma semplicemente dal significato che gli attribuisco: il bicchiere può essere mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda dei punti di vista, così come un imprevisto può essere vissuto con dolore o come un opportunità (dipende solo da me).

Cosa ho trovato effettivamente nel lungo viaggio che sto compiendo? Ciò che mai mi sarei aspettato: lo Yoga, la spiritualità e la possibilità di trasformare profondamente il modo in cui penso per vincere le paure, abbattere gli schemi mentali che creano infelicità, gestire il modo in cui si reagisco agli eventi.

Il viaggio si è rivelato non essere la soluzione in sé, ma un semplice mezzo, il più efficace per venire in contatto con me stesso e con un mondo di opportunità che non conoscevo, con un modo di vivere incentrato su di me e non sugli oggetti e le persone che mi circondano.

Viaggiando si ridefiniscono i valori, i concetti di ricchezza e di bellezza. Si entra in contatto con usi e costumi differenti, spesso difficili da capire con la nostra mentalità occidentale. Puoi immaginare poi come ci si sente quando si attraversano le baraccopoli indiane, vedendo altri esseri umani che vivono in mezzo ai rifiuti sul ciglio della strada? E magari ripensare a quando facevo shopping nelle boutique milanesi…

Sembrerà una frase trita e ritrita, ma è proprio così: viaggiare apre la mente. Insegna ad accettarci ed accettare, aiuta a capire che esistono milioni di realtà diverse dalla nostra, che la vita non è il nostro giardinetto di abitudini e conoscenze, ma molto di più, infinitamente di più.

Viaggiare insegna a cercare la felicità all’interno di noi, non nelle cose materiali e nell’approvazione delle altre persone. E il suo massimo valore è che ognuno ne riceverà un messaggio differente e “personalizzato”, ma alla fine viaggiare può essere utile a tutti. Senza alcuna distinzione.


Michele condivide la sua vita a colori fatta di viaggi, crescita personale, minimalismo, pensieri ed emozioni sul blog Karma e Colori. Puoi seguirlo anche su Facebook e Instagram.

Gianluca Gotto
Gianluca Gotto
Sognavo di lavorare viaggiando, oggi scrivo mentre giro il mondo. Ho aperto Mangia Vivi Viaggia per condividere la bellezza che abbiamo intorno e mostrare che spesso la felicità si trova nelle scelte di vita alternative

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