
Photo by Jessica Rockowitz
Viaggiare ti permette di scoprire luoghi straordinarie e culture millenarie di cui avevi solo sentito parlare. Apre le porte della tua mente e del tuo cuore. Ti costringe ad uscire dalla tua comfort zone e ti obbliga a fare i conti con te stesso, in quel meraviglioso processo di crescita personale durante il quale scopri te stesso mentre scopri il mondo.
Ma il mio motivo preferito per viaggiare, la ragione per cui credo che sia una delle migliori decisioni che si possono prendere, non riguarda solo i luoghi e le culture. Riguarda le persone.
Viaggio per conoscere persone straordinarie, per confrontarmi con loro, per conoscere il loro punto di vista sulle cose della vita. Non importa che sia un’anziana signora in Vietnam che mi chiede perché le coppie occidentali non abbiano già quattro o cinque figli quando compiono 25 anni, il gestore di una guesthouse thailandese che mi spiega che per lui viaggiare non ha niente a che vedere con lo spostarsi perché in realtà significa proprio conoscere persone da ogni parte del mondo oppure un ragazzo italiano incontrato per caso in Australia che decide di fidarsi ciecamente di te pur senza conoscerti (se hai letto il mio libro sai bene a cosa si riferiscono questi esempi).
Viaggiare significa conoscere anime speciali che ti restano dentro e in qualche modo contribuiscono al tuo percorso su questa Terra. Sono grato di aver scelto di viaggiare proprio perché in questo modo ho potuto fare incontri straordinari ed è grazie a questo scambio umano che ho appreso preziose lezioni di vita.
Una delle più importanti me l’ha regalata un bizzarro signore canadese. Parlandomi della sua passione sconfinata per i mirtilli, mi fece capire che non esiste un libretto di istruzioni per la felicità. Siamo noi a doverlo scrivere.
Felicità e mirtilli
Qualche anno fa vivevo a Vancouver, dove pensavo di aver trovato la mia dimensione. Avevo un buon lavoro in pieno centro, vivevo poco fuori dalla città in mezzo al verde e avevo abbastanza tempo per me stesso e per le mie passioni. Una di queste era passeggiare lungo la Commercial Drive, una strada popolata da poeti, hippie, scrittori, sognatori, artisti di strada, filosofi, amanti della marijuana e musicisti.
Camminare in quella zona significava entrare in contatto con persone da ogni parte del mondo che si erano ribellate alla Grande Legge dell’Uno: avevano deciso di provare più strade nella loro vita e non fermarsi a morire lentamente sull’unica grande strada che tutti indicano come giusta solo perché è la più frequentata.
Uno dei personaggi più affascinanti che incontrai in quel periodo della mia vita era un signore di una certa età. L’incontro con quell’uomo fu fondamentale per aprirmi gli occhi su una grande verità che molti non riescono a vedere: dobbiamo essere noi a scegliere cosa ci rende felici.
Un incontro di cui ho parlato anche nel mio libro:
Per diversi giorni ci ritrovammo a conversare con un signore di circa cinquant’anni con barba e capelli lunghi, entrambi bianchissimi. Indossava degli occhiali scuri con le lenti tonde e parlava sottovoce e con calma. Era una persona molto rilassata, non solo per la marijuana che ogni tanto si concedeva tra un discorso e l’altro, ma anche perché sembrava aver trovato la strada giusta nella vita. Ci aveva messo anni, ma alla fine ce l’aveva fatta.
“Un tempo lavoravo in banca” disse un giorno con quel modo di fare teatrale che aveva quando iniziava a raccontare qualcosa. “Un lavoro ben pagato, ma i soldi che entravano erano direttamente proporzionali alla felicità che se ne andava dalla mia vita. Ogni giorno chiuso in una scatola a passare ore e ore al telefono con clienti insopportabili o superiori idioti. Per cosa, poi? Per sbloccare un bonifico o per autorizzare un maledettissimo pagamento? No, grazie. Me ne sono accorto troppo tardi, ma almeno me ne sono accorto.”
Fece un lungo tiro dalla canna che aveva in mano.
“Ad un certo punto ho detto basta” riprese. “Mi sono licenziato e con tutti i soldi che avevo accumulato negli anni risparmiando – tanti soldi a dir la verità – decisi di partire. Da qui, da Vancouver, ho girato praticamente tutto il mondo: tutta l’Asia, tutta l’Australia, tutta la Nuova Zelanda, gran parte del Sud America e del Centro America, tutta l’Africa del nord, buona parte dell’Europa…”
“E poi?” chiesi affascinato.
“Poi sono tornato qui e mi sono messo a coltivare mirtilli.”
“Coltivare mirtilli?”
“Già, coltivare mirtilli.”
“E perché mai?”
Mi guardò con un’espressione divertita.
“Come perché mai? Io adoro i mirtilli! Li amo alla follia.”
“Ah, quindi hai iniziato a coltivarli perché li ami?”
“Esatto! C’è un campo lungo la statale verso North Vancouver. È il mio campo di mirtilli. Mi metto lì, me ne prendo cura e li vendo. Mi mantengo vendendo mirtilli. È il lavoro più bello del mondo per me, e sai perché? Perché ho la casa sempre piena di mirtilli. Li mangio oppure li uso per fare una torta. A volte preparo anche il riso ai mirtilli!”
Poi scoppiò a ridere e ridemmo anche noi. “Una storia assurda e fantastica” pensai tra me e me. “Ama i mirtilli e coltiva i mirtilli: per lui, questa è la ricetta della felicità. Tanto semplice quanto potente. Forse la felicità è davvero nelle piccole cose ma siamo noi a complicarci maledettamente la vita? Ama i mirtilli, coltiva i mirtilli ed è felice. Più semplice di così…”
Tratto dal capitolo “Felicità e mirtilli” di “Le coordinate della felicità“.
Non esiste un libretto di istruzioni per la felicità
Quella conversazione accese una serie di lampadine nel mio cervello e una fiammella nel mio cuore. A quel punto della mia vita avevo già preso scelte controcorrente che mi avevano allontanato dalla cosiddetta “normalità” ma vedere un uomo così in pace con se stesso e felice nel suo modo di vivere alternativo, mi convinse ulteriormente che non dovevo aspettare niente o nessuno per iniziare a seguire la mia felicità.
Perché non esiste un’idea di felicità giusta e universale. Sarebbe troppo facile se fosse così e non mi stupisce che molti si ritrovino a un punto della loro esistenza a domandarsi, sconvolti, perché non siano felici nonostante abbiano seguito alla lettera tutte le istruzioni.
A 20 gli dicevano di studiare e laurearsi e lo hanno fatto.
A 30 anni gli dicevano di pensare solo alla carriera e lo hanno fatto.
A 40 anni gli dicevano di trovare una persona qualsiasi con cui fare una famiglia per non restare soli e lo hanno fatto.
Poi, a 50 anni, si rendono conto di aver fatto tutto nel modo giusto ma di non essere felici.
Che forma ha la tua felicità?
Come scrivo nel primo capitolo del mio libro, “io non volevo essere giusto, volevo essere felice“. E credo che questa sia la formula magica che tutti dovrebbero sempre tenere a mente: non esiste un libretto di istruzioni per la felicità, non lo trovi da nessuna parte e non c’è nessuno che possa scriverlo per te.
L’unica cosa che puoi fare è prendere in mano il foglio bianco della tua esistenza e iniziare a scrivere. Scrivere i tuoi obiettivi, i tuoi sogni, ciò che ti fa sorridere, i nomi delle persone che ti fanno stare bene. Quelle sono le istruzioni per la tua felicità.
Per quel signore di Vancouver, la felicità aveva la forma di un mirtillo. Così semplice eppure così difficile da capire, visto che aveva iniziato a dedicarsi ai mirtilli solo dopo i cinquant’anni. Per altri la felicità è una famiglia numerosa, calorosa e rumorosa e magari se ne rendono conto solo dopo aver dedicato vent’anni della loro esistenza alla carriera. Per altri è viaggiare, scalare montagne, solcare mari e stare il più possibile in movimento e magari se ne rendono conto solo quando, un giorno come tanti, vedono il loro volto depresso riflesso nello specchio del bagno.
Spesso la tua felicità si trova fuori da ciò che è considerato “giusto”
La conversazione con quel signore innamorato dei mirtilli mi restò dentro. Alcuni mesi dopo l’universo mi costrinse ad abbandonare Vancouver e mi riportò nella città del nord Italia da cui ero scappato anni prima. Per qualche tempo pensai di seguire il percorso che tutti mi indicavano come “giusto”: tornare all’università, tornare a inseguire un lavoro prestigioso, vivere per lavorare e per soddisfare aspettative poste da altri.
Ma le parole di quel signore continuarono a risuonare dentro di me. Così decidi di seguire il mio cuore, ovvero prendere in mano il foglio della mia vita e scrivere personalmente le istruzioni per la mia felicità. Avevo la passione per la scrittura e volevo trasformarla in un lavoro. Tutti mi dicevano che era semplicemente impossibile, un sogno per illusi, e invece oggi scrivere è la mia professione ed è un lavoro che oltre ad appassionarmi mi permette di vivere viaggiando, perché il mio ufficio è ovunque ci sia il mio computer e una connessione a internet.
Ho trovato i miei mirtilli in questa vita e posso assicurarti che la tua felicità è solo tua: non cercarla nel giudizio altrui, nella ricerca ossessiva della perfezione agli occhi degli altri o nel desiderio di rispettare le aspettative che la società pone su di te. Solo tu puoi sapere cosa ti rende felice. Solo tu puoi sapere che forma ha la tua felicità. Per quello stravagante signore erano i mirtilli… e per te?